Due Roubaix in meno
di Gian Paolo Porreca
Due Pasqua in meno, allora, e due Roubaix in meno, nella vita, per il momento, anche se in verità quest’anno Pasqua e Roubaix come data non coincidevano.
Ok, ma quello che ci turba in maniera più sinistra è come il ricordo sembri qui cedere, ad una piatta, niente affatto celeste, nostalgia.
Il palpitare pulsante dell’anno scorso - abbiamo riletto il nostro pezzo parallelo, tra l’altro - appare sedato, niente spritz, la vibrazione rassegnata ad un solfeggio.
Possibile mai che ci stiamo abituando all’assenza delle cose, anche profane, come la Roubaix, più amate, alla privazione?
Per il secondo anno consecutivo, niente Roubaix e niente Settimana Santa sotto il cielo, ma intimamente ne sentiamo davvero - come apprezzavamo l’anno scorso - la mancanza?
Mi turba tremendamente la rassegnazione, un abito grigio addosso e dentro, un guardare il quotidiano da sconfitto, o un quotidiano sconfitto.
Niente Roubaix, per il secondo anno consecutivo, forse non è una cosa necessaria all’esistenza, in un contesto di sopravvivenza, forse andiamo troppo più in là, ma dubitiamo davvero che ci manchi più dell’anno scorso, l’anno dopo.
Niente Roubaix, e vorremmo però ripassarle tutte, prima che succeda - qui tanto di imprevisto accade nei cieli - che non le riveda più.
Due volte niente Roubaix, ma dove eravamo quando nel ’60 arrivavano primo e secondo Pino Cerami e Tino Sabbadini, due oriundi dell’Italia, come in fondo oriundi di una città o di un paese sempre ci siamo sentiti noi, mai al posto giusto per diritto di nascita?
Due volte niente Roubaix, e come eravamo quando Peter Post vinse nel ’64 ad una velocità da record, forte di un vento a favore che spirava da chissà quale mare?
Due volte niente Roubaix, e dove eravamo tricolori senza nazionalità con Francesco Moser, nel 1980?
Due volte niente Roubaix, ma dal conto non sottraeteci per cortesia quella di Hennie Kuiper, nel 1983, quando bucò a pochi chilometri dall’arrivo e chiedeva all’assistenza, come un guerriero medioevale disperato un cavallo per la fuga, una ruota di scorta per il successo? Roubaix 1983, 12 aprile, l’ultimo articolo di Bruno Raschi.
Due volte niente Roubaix, e dove eravamo a rompere un televisore in biancoenero che si incantava e non ci trasmetteva più le immagini strazianti del testa a testa all’arrivo fra Gilbert Duclos Lassalle e Franco Ballerini, nel 1993? Quella corsa che il fotofinish a favore del francese lo guardammo solo in audio... Le Roubaix, merci Ballerini, merci Gibus, anche se quella volta non fu sincero con Ballerini, a implorarlo di tenerselo a ruota sin sul Velodromo e poi lo stesso fare lo sprint, due volte grandi lo stesso, e Franco immenso nel ’95 e nel ’98, e nel destino ostile.
Due volte niente Roubaix, ma non possiamo arrestarci credeteci a Philippe Gilbert, 2019, ultimo cubetto di pavè. Ci fermeremmo, se proprio dobbiamo farlo, a Dirk De Mol, 1988, per la scommessa fatale di una vita. Due volte senza la dose giusta, nel nostro trip, e l’astinenza dopo il climax che si spegne di inedia.
Due volte niente Roubaix, e niente Pasqua, e cosa mai potremmo fare in tutta umiltà per esorcizzare un ulteriore black - out dei sentimenti?
Forse chiedere tutti ammenda, tutti perdono di qualcosa mai confessato, hai visto mai...
Come quella volta, Roubaix 1982, di turno in Ospedale, che per seguire gli ultimi chilometri della fuga del nostro beneamato Raas, mettemmo fuori posto, per pochi minuti, il telefono della medicheria del Reparto... L’abbiamo fatto, anche se sapevamo, in onestà, che non sarebbe potuto realisticamente accadere nulla.
Al massimo che Jan Raas, maglia Ti-Raleigh per gradire, avrebbe così vinto in solitudine, gli avremmo fermato Bertin e Braun al suo inseguimento, con un applauso senza sordina in più.
E che un peccato veniale in più di allora, reso palese come un atto di dolore oggi, potesse valere ancora per meritare di vivere un’altra Roubaix di quelle perdute.