NON CI PIACE IL CICLISMO D'AGOSTO
di Gian Paolo Porreca
Non è colpa nostra, se il ciclismo di agosto non ci è mai piaciuto granchè.
Non è colpa nostra, se il ciclismo di agosto - ciclismo, amore mio, non ti conosco - non lo abbiamo mai considerato plausibile per la fisiologia dello sport e la naturalezza della passione, pur senza essere capricciosi come il Luca Cupiello di Eduardo de Filippo cui non piaceva, per reazione all’ordine e alla ritualità familiare costituiti, il presepe assemblato religiosamente dal padre, in Natale in Casa Cupiello.
Ecco, non è colpa nostra, se troviamo improprio nella religiosità annuale - sacra come le stagioni nel tempo - del ciclismo, il ciclismo di agosto.
Poi, certo, ci facciamo naturalmente da parte, con le nostre personali considerazioni e stiamo a rispettare - per oggettività - le esigenze dei lavoratori del settore, dell’economia degli sponsor del milieu degli atleti dei media pure, qualcuno a buona ragione ci parlerà di “comparto” e di famiglie da sollevare dal lockdown in cui siamo precipitati tutti e di altre sacrosante motivazioni, “bisogna ripartire”, che hanno imposto, per mano dell’UCI, il ciclismo maggiore ad agosto nel 2020.
Non è colpa nostra, sotto il caldo di agosto e la gente ad affollare le Riviere, comprendere - non giustificare - perché si arrivi poi a dover correggere radicalmente il percorso della Milano - Sanremo, inserita in calendario l’8 agosto. Non è colpa nostra, continuare a pensare che il ciclismo, imposto di forza ad agosto 2020, corra il rischio clamoroso di diventare uno sport invadente e tollerato per la quotidianità altrui, e di scontare questa immagine in negativo nel 2021....
Non è colpa nostra, infine, se del ciclismo di agosto, improprio per condizioni climatiche a certe latitudini e a certe temperature, più che il successo al Tour di Marco Pantani, emozionantissimo, il 2 agosto 1998 a Parigi, 33 anni dopo - 33 anni, l’età di Nostro Signore - il trionfo di Felice Gimondi, ricordiamo e non dimenticheremo mai la morte tragica di Knud Enemark Jensen, alle Olimpiadi di Roma, nel 1960.
Knud Enemark Jensen, uno dei componenti il quartetto danese in corsa nella 100 chilometri a squadre, in una Roma devastata dall’afa e dalla canicola, cadde all’improvviso in gara, sbattè la testa, e non si rialzò più.
Vittima di una insolazione, e di altre micidiali pozioni chimiche pure, si disse, ma non si confermò, il 26 agosto del 1960. 60 anni fa.
Sarà anche e soltanto per questa memoria, in uno sport come il ciclismo che non ospita più le foglie di cavolo sotto il caschetto per proteggersi dal sole sulla strada cocente - e che non ha il lusso del cooling break, do you know? -, sarà anche e soltanto per questa cognizione del dolore che continuerà a non piacerci mai, in tutta onestà, il ciclismo di agosto.