I NOSTRI CAMPIONI E QUELLI DEGLI ALTRI
di Gian Paolo Ormezzano
Chiedendo scusa in anticipo di eventuali mie insufficienze espositive, tento un articolo difficile: quello sui rapporti fra i campioni di altri sport e i campioni di ciclismo. Ho avuto modo di assistere di persona a vari incontri fra sommi bipedi rappresentanti sommi le due categorie e credo proprio di avere notato (chiaro che me ne ero dispiaciuto e che tuttora me ne dispiaccio) una sorta di sudditanza psicologica dei campioni di ciclismo verso i loro omologhi di altri sport. E questo anche se i campioni di altri sport non hanno fatto nulla per esercitare una loro presunta superiorità, anzi si sono piegati, non importa se più curiosi che ammirati, sui loro simili nel senso di vestiti degli stessi colori dell’iride o comunque della stessa divisa di sportivo praticante eccome.
Vado per esempi diretti. Primi anni Ottanta, a Torino, il francese Michel Platini furoreggia nella Juventus e per combinazione è anche amico mio. Andiamo alla presentazione di una squadra ciclistica di professionisti messa insieme per il Giro d’Italia da un torinese, Gianni Savio, tuttora sulla breccia con i suoi prodigiosi latinoamericani che a priori sono sconosciuti però ogni tanto si pappano tappe e classifica al Giro o al Tour. Il numero 1 della squadra di Savio è Freddy Maertens, belga campione del mondo dei professionisti su strada nel 1976 a Ostuni, Puglie, battendo netto in volata Francesco Moser e nel 1981 a Praga, allora Cecoslovacchia, per un centimetro un altro italiano, Giuseppe Saronni. Maertens, al tramonto ma campione grosso senza alcun dubbio, si rivolge a Platini come se fosse un suo umile tifoso, che spera di non disturbarlo troppo con la sua palesatissima ammirazione. E il mio amico Michel gli risponde con un sussiego finto, imbarazzato e imbarazzante.
Miscellanea: Felice Gimondi dall’alto di una immensa carriera mi ha chiesto, scusandosi per il disturbo, se potevo presentare il terzino della Juventus, Cabrini detto a ragione il Bell’Antonio, alle sue due bambine che giocavano al gioco di fingersi innamoratine di lui come tante, le mie due figliolette comprese. L’ho fatto, ovviamente, e lui il calciatore è stato al gioco, gentilissimo e ironico verso se stesso. Dino Zoff patito di formula 1 mi chiese, insistendo anche, di fargli conoscere Riccardo Patrese, forte pilota dell’Alfa Romeo di passaggio a Torino, e fu assai gratificato dall’incontro, dalla conoscenza. Sempre mi è parso di notare qualche disagio comportamentale (ricambiato…) nell’asso del calcio, conscio magari di guadagnare cifre che l’altro manco sognava facendo magari fatiche assai minori, rischiando poco o nulla del fisico al contrario di un Patrese, godendo di un consenso popolare sin troppo facile e facilone.
Ho anche altri esempi che vanno in un senso o nell’altro: per esempio quelli dello sci specialmente di fondo nei riguardi di quelli del ciclismo, ritenuto posto dove si fatica nobilmente ancora più che sulle nevi. Quello di grandi dell’atletica come il marciatore Maurizio Damilano impegnatissimi a seguire del ciclismo anche i dettagli, sino ad arrivare a formare, sponsor uno della loro tribù, il grande Franco Arese, una bella squadra di professionisti per il Giro d’Italia. Quanto a Livio Berruti amico mio fraterno credo proprio che avrebbe barattato l’oro di Roma 1960 con un grande successo nel tennis, gioco da lui amatissimo e sino a pochi anni fa praticato con serietà assoluta e risultati discreti, o nell’automobilismo di velocità (idem con corsi e abilitazioni speciali e con rischi forti assunti e patiti).
Generalizzo? Oppure eccedo nei particolarismi? Non so. Ricordo però troppi calciatori, compreso il grande Gianni Rivera de ma jeunesse, al Giro o al Tour per seguire una tappa e sin troppo ammirati, a parole, del faticare dei ciclisti, quasi che con queste lodi volessero espiare una parte della loro fortuna di avere scelto il calcio o di essere stati dal calcio scelti (e forse alla base di questo sta la pratica del golf, dove si fatica poco o niente e si guadagna molto troppo, da parte di molti del calcio, i quali parlano di hobby ma si impegnano come maniaci.
Non maniaco, ma tifoso iperdocumentato del ciclismo Eugenio Fascetti l’allenatore di calcio dei miracoli, giocatori scarsi e risultati importanti grazie al suo”casino organizzato”. Fascetti, uno anche del mio Toro, mi ha messo puntualmente in crisi con la sua sapienza ciclistica, con la sua attesa competente dei responsi delle gare già di inizio classico di stagione, col suo culto motivato di personaggi della bicicletta.
Tutto sommato quelli più, come dire?, impegnati nel senso di rapporto contorto o almeno complesso con il campione di qualche altro sport sono proprio i ciclisti (partendo da quel Maertens con Platini). Mi sembra (arrivo alla blasfemia?) che i ciclisti siano quasi imbarazzati, complessati dal fatto evidente che la loro fatica sia sporca, ferina, disumana, rischiosa e intanto non venga ricompensata bene, o lo sia benino ma con cifre spesso ridicole rispetto a quelle di altri sport infinitamente meno popolari. Segue dibattito?