LA BICI E LA MEMORIA
di Gian Paolo Porreca
L’altro ieri, di gennaio ancora, era la Giornata della Memoria, a tenere ad ammonimento vivo lo sterminio antisemita e le sofferenze della Seconda Guerra Mondiale.
Ma oggi, che siamo di febbraio, continua a stagliarsi ancora prima, come allora, la Bicicletta, e il suo simbolo.
L’altro ieri, era Gino Bartali, il pio, il terziario francescano di Ponte ad Ema, il Campione, non il campionissimo di Tour e Giro, che nei suoi allenamenti mai esausti in Toscana da Firenze ad Assisi portava celati ad arte, nei tubi del telaio della bici da corsa, i salvacondotti per gli ebrei toscani…
L’altro ieri, c’era quel Bartali lì, Giusto fra le Nazioni, che è stato onorato anche in senso istituzionale, a Montecitorio, e ci è parso tuttavia pure non abbastanza illuminato per il presente, se non per il futuro che vale. (Sempre più spazio, in fondo, per un Ibra sui giornali, che non per la lezione di Bartali, anche di 27 gennaio, con l’interrogativo obbligato “ci crediamo o non ci crediamo?”).
Ma se l’altro ieri era Gino Bartali, ad ogni modo, e una storia di inossidabile valore, infissa come su una croce cristiana negli anni ’40, pure oggi la bicicletta ritorna puntualmente prima, senza bisogno di una occasione di sostegno pubblico.
Prima al cuore degli umili e non solo degli utili, la bicicletta, di qualsiasi marca o genere sia, prima al cuore, e la ripetizione non è retorica, è al massimo un corsivo.
Prima al cuore, senza bisogno di un colpo di pedale ulteriore, ci arriva così la bicicletta, l’Atala nera, di Giulio Regeni, il ricercatore universitario friuliano scomparso e ucciso per mani losche e tuttora ignote in Egitto, quattro anni fa. Prima al cuore, quella bicicletta di ritorno a casa, dall’Università di Cambridge dove era rimasta al paese nativo, Fiumicello di Udine, che rende eguali emblematicamente gli uomini tutti, pure diversi di culto e casta, di censo e colore. Vincitori e vinti.
E ci sembra che per la bicicletta sorga ogni mattino una Giornata della Memoria, indipendentemente dalla data, un ritaglio di tempo con la sua cifra per i sentimenti buoni - noi che crediamo ancora che non esistano i sentimenti cattivi -, quelli che si intrecciano con la ricerca della pace e dei valori leali e della serenità e dell’eguaglianza dei popoli e del sorriso.
La bicicletta di Giulio Regeni entra senza rumore, un fruscio di ruote, in quel simbolico paradiso - che non ha obbligo di fede, appunto - dove pedalano la bici azzurra di Marco Biagi, il giuslavorista ucciso dalle Brigate Rosse nel 2002, la biciclettina rosa di una sventurata bambina di Cardito di Napoli, vittima nel 2018 di un efferato genitore, la bicicletta da corsa che un profugo da Bihac, in Bosnia, venti anni fa, elevava al cielo, come unica sua bandiera di vita e di libertà.
Quel cielo unanime sopra i campi di concentramento nazisti di un tempo e il mondo sbagliato del tempo attuale, “tutto da rifare”, come direbbe facilmente Gino Bartali. Quel cielo azzurro pure quando piove, che esiste anche se non lo vediamo, che per un Quarto d’Ora al giorno invoca la preghiera della bici. E il suo mai sfinito amore verso gli altri.