Editoriale
ANTICIPARE & POSTICIPARE. È una provocazione, speriamo che possa valere almeno una riflessione. Non si fa che parlare di visibilità, teleascolti e share, e quindi di tappe da ritardare per acchiappare sempre maggiori ascoltatori. Domanda: ma anziché ritardare sempre di più gli arrivi di tappa perché non si pensa ad anticiparli? Anziché partire alle 13.30 o giù di lì, perché non tornare a partenze alle 9 di mattina per giungere, dopo 4 ore di corsa, attorno alle 13/13.30, quando molti sono in pausa lavoro e sono a rifocillarsi a casa o nei bar? E se proprio vogliono ritardare delle tappe, lo facciano per i tapponi montani, rigorosamente piazzati al sabato e alla domenica, ma durante la settimana l’idea di arrivare all’ora di pranzo non ci sembra così peregrina. Noi la buttiamo lì. Ad Angelo Zomegnan, vicedirettore de La Gazzetta dello Sport, chiamato a dirigere gli eventi sportivi di Rcs dal prossimo mese di settembre e soprattutto grande conoscitore di cose ciclistiche, il compito di valutare queste nostre proposte, che potrebbero aumentare la visibilità e l’impatto mediatico anche tra i non appassionati di ciclismo.

LA FORZA DI ESSERE QUELLO CHE È. Alla fine dico bravo anche a Gilberto Simoni. Anche se non mi è piaciuto quando con ottusa determinazione ha fatto di tutto per non capire che Damiano meritava più di lui il Giro d’Italia. Non mi è piaciuto per come ha corso le ultime tappe, mettendo in difficoltà la maglia rosa. Non mi è piaciuto quando a Falzes è arrivato persino a pronunciare insulti rivolti al giovane collega. Ma alla fine dobbiamo apprezzare la sua ostinata e leale miopia, la sua incapacità di accettare il verdetto. Ha fatto la figura dell’antipatico e non ha fatto nulla per nasconderlo. Non ha cercato vie subdole e stucchevoli, quelle che si giocano generalmente nelle retrovie, alle spalle. Ha scelto la sfida aperta, per certi versi sfrontata ma leale. Ha fatto brutta figura, e l’ha voluta fare senza mezzi termini. Ha confezionato assieme a Damiano il romanzo rosa trasformando il Giro nella guerra del bene contro il male, del buono contro il cattivo. Alla fine, una volta tanto, ha trionfato il bene e anche a Simoni dobbiamo un grazie.
IL PICCOLO PRINCIPE E IL RE. Al Padreterno ci son voluti sette giorni per creare ogni cosa, per mettere tutto al posto giusto, per dare forma all’uomo e alla donna. Sette giorni per inventare l’universo e tutto quello che gli gira attorno. Tre settimane, invece, sono state sufficienti per trovare Damiano Cunego, il Piccolo principe del ciclismo italiano, caduto da una stella posta chissà dove, è finito qui sulla terra per risollevare le nostre e le vostre fortune.
Che strana la vita. Siamo partiti da Genova con il timore di non farcela, con il terrore di dover aspettare chissà quanti anni ancora prima di riavere un nuovo Cipollini e un nuovo Pantani, e tre settimane dopo, eccoci qui, con un Petacchi dirompente quanto e più di Cipollini e un Cunego capace di attirare con la semplicità dei grandi folle di appassionati che solo Marco seppe attirare in tempi recenti.
Siamo partiti da Genova con ascolti tivù al limite della decenza (11% di share), siamo arrivati a Milano con ascolti da Champions League (47%). E dire che ci eravamo soffermati a valutare schede e tabelle fornite dallo studio Ambrosetti, e ci eravamo anche fermati ad ascoltare i marketing manager per capire dove andare, cosa fare per rilanciare il nostro sport. Dovete fare come la F.1, come il Moto GP: questi i loro illuminati consigli. E chi aveva in gruppo uno Schumacher o un Valentino Rossi?
Ma la vita è spesso più semplice ed elementare di quanto si possa pensare, e così eccoci con Petacchi e Cunego, due antipersonaggi che diventano tali perché sanno fare profondamente e semplicemente bene il proprio mestiere. Entrambi volti acqua e sapone, incapaci di dire frasi roboanti, di fare bischerate, di farsi prendere dal simpaticismo becero, ma bravi a essere semplicemente quello che sono.
E adesso che Dio ce li conservi, che la Fassa e la Saeco li gestiscano con altrettanta efficacia e semplicità, senza eccessi e esagerazioni. Ricorrendo ai tecnici della comunicazione e ai marketing-manager, ma con parsimonia. Loro generalmente hanno la pretesa di crearli, i personaggi. Qui basta seguire, accompagnare, suggerire e il gioco è fatto. Con Alessandro Magno non si dovrebbero correre rischi: ha 30 anni, una bella gavetta alle spalle, e se non è cambiato l’anno scorso, non cambierà certamente adesso. Lui è fatto così: vince chiedendo scusa, ringraziando i compagni e a volte anche gli avversari. E ci piace che faccia così. Damiano è giovane, ma ragiona da grande, e quel che ci conforta è che ha alle proprie spalle una famiglia solida, sorretta da sani principi, che gli hanno insegnato a non volare, se non da piccino, quando andò fin su una stella posta chissà dove, prima di riscendere a rallegrarci un po’.
Pier Augusto Stagi
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