Scripta manent
Dai, diamo le bici ai bambini...
Ci sono ancora, li abbiamo visti ancora, i ragazzini per loro e nostra fortuna innamorati della bicicletta. Li abbiamo visti lindi e pinti, schierati come alunni ad una festa per il capoclasse al Jolly Hotel di Ischia, la sera della Befana, compunti con la loro maglia gialla della Polisportiva Ciclistica Ischia di Franco Bercini e Ciro Trani, a festeggiare il loro idolo tascabile, quel Michele Scotto d’Abusco, vent’anni, che è diventato sotto l’egida della Lampre e il viatico di Francesco Casagrande il primo ciclista professionista che sia sortito da un’isola minore - Ischia, attenti, non Capri -, a misura di uomo e di un ciclismo da promuovere magicamente.

E li avremmo ritrovati, diversi ma uguali, due settimane dopo, al Borgocross di Casertavecchia, quella sagra del ciclopratismo centromeridionale che si svolge in una atmosfera sospesa di fiaba medioevale, cinta di mura antiche e profumata di brughiera, e che raccomandiamo per inciso come ideale prova di Coppa del Mondo di ciclocross, per una volta ancora, a Ceruti e allo stesso Verbruggen.

Ragazzi delle medie, sporchi di fango, in una domenica di fatica e di visi arrossati, attenti al raffreddore, con la divisa della Associazione Ciclistica Gioventù Cavallaro di Bisceglie, questo miracoloso gruppo che dal profondo Sud esprime una mirabile fucina di coesione e corretta educazione giovanile allo sport ciclistico.
Si chiamano oggi Giordano Di Niso, Alessio Di Liddo, Krizia Ruggieri, Sara Mastrototaro, gli esordienti e gli allievi che si impongono, senza l’obbligo del dover diventare campioni da grandi, come saggiamente ammonisce Nicola Dell’Orco, il direttore sportivo che se li accudisce come cuccioli da affidare alla vita.
Epensavamo, nel nostro disincantato mondo di adulti a prova di sentimento, di quanta fantasia allora possa continuare giustamente a pervadere ancora un ragazzino, naturalmente assiso in sella, come esercitasse un diritto di nascita, alla sua bicicletta!
E vogliamo allora ricordare a noi e a chi ci legge, e a chi del ciclismo intende questa matrice trasparente, ideale, la storia di Mark J. Reynolds, il biker statunitense, trentacinque anni, aggredito e ucciso da una pantera, mentre si allenava in un parco naturale l’8 gennaio scorso. Reynolds si era impegnato, nella sua vita, in prima persona, a sostenere un progetto di aiuto per quei bambini poveri e diseredati della sua terra, le cui famiglie non avevano neppure la possibilità di donare loro una prima bicicletta. Non un telefonino, non una felpa targata, come si usa nei nostri arrembanti riti borghesi, non un dvd, ma una elementare prima bicicletta...

Ebbene, oggi, gli amici di Reynolds hanno deciso di ricordarne la sensibilità così speciale, creando il Mark J. Reynolds Memorial «Children’s First Bycicle Fund» (2300, E. Katella Avenue, Ste. 430, Anaheim, CA 92806, USA), per continuare ed esaltare il suo lavoro. E divulgare il suo piccolo, enorme sogno del diritto inalienabile della infanzia ad una comune fantasia. Quello di poter correre, come i ragazzini di Ischia e di Bisceglie, come i ragazzini di ogni mondo terreno che Dio comanda uguali, su una bicicletta infine senza più rotelline, se non le ali di una palpitante e vergine emozione da grandi.

Gian Paolo Porreca,
napoletano, docente universitario
di chirurgia cardio-vascolare,
editorialista de “Il Mattino”
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