Jungels, il lupo che ama il vino
di Pier Augusto Stagi

La Quick-Step ha in testa proprio un gran bel film e alla fine a Liegi gira un bellissimo lungometraggio con il volto più adatto a stare sotto i riflettori: Bob Jungels, il Matt Damon del ciclismo mondiale. Bob è un ragazzo di appena 25 anni, alla sua ventunesima affermazione da quando è professionista, ed è lui ad aggiudicarsi l’edizione numero 104 della Liegi-Bastogne-Liegi, con un’azione da autentico fuoriclasse in erba.
Ha in mente un bel film, la formazione belga di Patrick Lefevere. D’altra parte in questa primavera ha fatto man bas­sa, portandosi a casa anche il Giro del­le Fiandre (Terpstra) e la Freccia Val­lone (Alaphilippe). Lefevere e il nostro Davide Bramati (diesse) si sono fatti un bel film: hanno davvero previsto tutto, sanno dove muoversi e decidono di lanciare i loro uomini nel tratto più duro della “Doyenne”, sulla Côte de la Roche aux Faucons.
Quando parte questo ragazzone lussemburghese, il nostro Vincenzo Nibali non c’è già più. «Giornata no, senza tante storie o scuse. Peccato averla vissuta in una classica come la Liegi, una corsa alla quale tenevamo molto», dice Paolo Slon­go, allenatore da sempre del fuoriclasse siciliano.
Jungels ha il compito di rompere gli indugi, anche per spaccare la monotonia di una corsa che fino a quel mo­mento è scivolata via a velocità elevata sì, ma senza regalare grandi emozioni agli appassionati. Corsa ingessata e blindata che i Quick Step decidono di spaccare con un ragazzo di assoluto talento, che sa tenere il ritmo e soprattutto ha il talento e la personalità per sostenere il ruolo del protagonista.
Jungels va, e Valverde e compagnia stan­no a guardare. Anche Alaphilippe, compagno di squadra di Bob, uno dei grandi favoriti della vigilia, è costretto a temporeggiare. I patti sono chiari: «Tu fai il tuo gioco; se ti ri­prendono parto io». Que­sto è un film che si fa il francese, perché il lussemburghese non lo vede più, se non sul podio.
Il suo Paese torna così sul trono della Liegi dopo il successo di Andy Schleck nel 2009. Jungels è il terzo lussemburghese della storia a vincere la classica e, nonostante la giovane età, ha già un palmares di assoluto peso. Al Giro d’I­ta­lia nelle ultime due edizioni ha vinto la maglia bianca di miglior giovane, concludendo 6° nel 2016 e 8° nel 2017. Il ragazzo ha anche vinto una tappa (a Bergamo nel 2017, ndr) e ha già indossato la maglia rosa.
Alle spalle del lussemburghese volante, il canadese Woods e il francese Bar­det, che completano il podio a 37’’ dal vincitore. Non c’è Nibali (deluso, ha chiuso 32esimo a tre minuti, ndr), ma c’è tanta Italia: Pozzovivo è quinto dietro Alaphilippe, davanti a Ga­spa­rotto e al talentino Formolo. Nei quindici finisce anche Tom Dumoulin, alla prima corsa dopo un lungo ritiro in quota: se son rose, per lui potrebbero nuovamente fiorire al Giro.
LA CONSACRAZIONE. Bob ha 25 anni, vive in Svizzera e coltiva da sempre una passione per i vini. La sua maglia rappresenta una nazione piccola, ma di grandi tradizioni ciclistiche: il Lus­sem­burgo. Con lui la Quick Step ha completato la sua collezione: vince la Liegi, l’unica corsa Mo­nu­mento che mancava in bacheca. In sedici anni di attività (e 638 successi precedenti) non l’aveva mai vinta.
Jungels diventa qualcuno - ciclisticamente parlando - sulle strade del Bel­gio. Ma le prime soddisfazioni se le toglie proprio qui da noi, sulle nostre strade. Nel 2010 a Offida, da junior, vince il mondiale crono. Tre anni do­po ad Arona, nel Gp Nobili, ottiene la sua prima affermazione nella massima categoria. Al Giro 2016 indossa la mag­lia rosa: succede al termine della decima tappa, la Campi Bisenzio-Se­stola, e la tiene per tre giorni. Diventa subito uno degli atleti più apprezzati del gruppo, quello con maggiori doti e talento. A Torino è 6° e maglia bianca di miglior giovane. Nel 2017 la storia si ripete in cima all’Etna: questa volta la maglia rosa la tiene per due tappe in più, cinque in totale. Non digerisce, per il mo­mento, le grandi pendenze, anche se a Liegi, quando è chiamato a fare gli straor­dinari, dimostra di saper spianare tutto. In quel Giro, però, in­digesto gli sarà il Blockhaus. Poi arriva anche a vincere una tappa: a Ber­gamo. Alla fine, a Milano, è 8° a 7’04” dalla rosa Dumoulin e bis in maglia bianca come miglior giovane.
IN RAMPA DI LANCIO. In verità il suo ruolo è quello di supporto, anche se lo squadrone di Patrick Lefevere - che ormai chiamano “Wolfpack”, branco di lupi - ha solo l’imbarazzo della scelta. Sono tutti atleti di livello quelli della Quick Step: se concedi loro spazio e li trovi in buona giornata, ti fanno vedere i sorci verdi. Quindi, Bob è sì una seconda punta, ma studia da bomber. È un lupacchiotto, ma la fame è tanta. Fa parte del branco, ma non è un oggetto estraneo: fa parte del progetto. Ed è lui a raccontare come sono andate le cose: «Stavo cercando di mettere Ju­lian (Alaphilip­pe, che è anche suo com­pagno di camera, ndr) nella posizione migliore, ma quando mi sono ac­corto di essere solo, ho deciso di tirare dritto - ha spiegato il principino di Lie­gi -. Nel finale ho cercato di sfruttare al meglio le mie doti di passista e di gestire le nergie che mi erano rimaste. Sul Saint Nicolas non potevo spingere a tut­ta perché avevo paura di andare in crisi, di rovinare tutto. È stato il chilometro più lungo della mia vita. Quan­do ho capito che avrei vinto? All’ul­ti­ma curva, a 250 metri dal traguardo».
E Alessandro Tegner, che da addetto stampa del team oggi è diventato l’uomo di fiducia di Lefevere, precisa: «Il nickname “branco di lupi” sintetizza benissimo il nostro spirito. Qui, in ogni gara, tutti si sacrificano per la cau­sa. È vero, c’è un capobranco, ma nessuno viene mai lasciato fuori: tutti fan­no parte del branco, tutti sono importanti. Quindi, tutti possono avere la lo­ro grande giornata e vincere».
Proprio come Bob Jungels.
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