di Francesca Monzone
Biniam Girmay vuole stupire il mondo anche quest’anno e, dopo aver vinto la Gand-Wevelgem lo scorso marzo e la decima tappa del Giro d’Italia a maggio, l’eritreo vuole conquistare una Classica Monumento e una tappa al Tour de France. Con la sua Intermarché-Circus-Wanty vuole andare lontano e sogna il Giro delle Fiandre e la Parigi-Roubaix, una di quelle Classiche che la gente del suo Paese riesce a vedere in televisione.
In Eritrea, di fatto, se vuoi fare sport non hai grandi scelte e puoi decidere se correre a piedi oppure correre in bici. Il ciclismo nel Paese è arrivato con il colonialismo italiano e ancora oggi tutte le parole collegate alla bici e al ciclismo sono esclusivamente nella nostra lingua.
«Il ciclismo da noi è arrivato grazie agli italiani e quindi anche la nostra storia sportiva in qualche modo è legata al vostro Paese. La maggior parte delle parole legate alle due ruote sono in lingua italiana, per esempio le parole bici, corsa, tifosi o vai vai noi le conosciamo solo nella lingua italiana. Anche nelle gare il pubblico eritreo usa le parole italiane».
Biniam, anche per ragioni legate al rilascio dei visti, ha trascorso molto tempo a casa, vicino alla moglie e alla figlioletta di appena un anno, ma a gennaio è volato in Europa e la sua stagione è iniziata in Spagna con la Challenge di Mallorca, dove ha subito ottenuto un terzo posto. Lo vedremo correre alla Vuelta Valenciana, poi ci sarà un ritiro in quota in Eritrea prima di arrivare in Italia al Trofeo Laigueglia e alla Tirreno-Adriatico. Tutto il lavoro svolto durante l’inverno sarà finalizzato per Milano-Sanremo, Gent-Wevelgem, E3 Harelbeke e poi Giro delle Fiandre e Parigi-Roubaix, che sono i suoi grandi sogni. La sua primavera terminerà probabilmente con l’Amstel Gold Race, mentre la Liegi-Bastogne-Liegi per il momento non sembra essere un’opzione per lui.
«Se dovessi scegliere una vittoria per questa stagione, senza dubbio direi una classica fiamminga. Il Giro delle Fiandre è il mio grande sogno. Correre in Belgio è davvero speciale, i tifosi impazziscono e anche i percorsi delle corse sono incredibili, c’è più spirito combattivo. Le competizioni più dure in Europa si svolgono proprio lì e io che corro per una squadra belga, non vedo l’ora di poter pedalare di nuovo nelle Fiandre».
C’è tanto Belgio nella stagione del ventiduenne eritreo ma anche la Francia avrà un posto importante. Girmay correrà nell’inferno della Parigi-Roubaix, una corsa che ha già affrontato nella categoria under23, quando nel 2019 la vittoria andò a Tom Pidcock.
«In Eritrea non vengono trasmesse tutte le corse, ma solo Sanremo, Fiandre e Roubaix e i tre Grandi Giri. Queste sono le gare che conosciamo e sono le gare che ho sempre voluto fare. Ho già corso la Parigi-Roubaix una volta nella categoria under23, era andata abbastanza bene (48°), era il 2019 e vinse Pidcock. Il mio cuore batte per le corse sul pavè ma forse un giorno arriverà anche il momento di fare la Liegi».
Nell’ultimo anno Biniam Girmay è cambiato sia nel modo di correre che nello stare in gruppo: è diventato un vero leader.
«Non sono cambiate molte cose mentre corro, ma posso dire che nel gruppo vedo più considerazione e anche la mia squadra agli occhi degli avversari è molto più considerata».
Il giovane talento della Intermarché-Circus-Wanty ha iniziato la sua carriera sportiva con il calcio poi, seguendo la passione del padre e il fratello più grande che correva in bici, ha deciso di dedicarsi al ciclismo: quando sono arrivati i primi successi, ha capito che nella vita voleva fare il corridore professionista. In squadra a guidarlo c’è Valerio Piva, uno degli storici direttori sportivi, che ha sempre creduto nel potenziale di questo ragazzo. Sarà Piva che ancora una volta piloterà Girmay verso il successo, con la consapevolezza che il margine di miglioramento è grande, ma che non sarà facile vincere con giganti come Van Aert e Van der Poel.
«Riconfermarsi non è mai facile e già ripetere una stagione come quella dello scorso anno per me sarebbe un buon risultato. Ma si corre per andare avanti e migliorarsi ed è quello che io voglio fare».
Girmay non ha mai praticato mountain bike o ciclocross, ma segue sempre le gare in televisione, in particolare quando a correre ci sono Wout van Aert e Mathieu van Der Poel.
«Seguo l’intera stagione del ciclocross e quando sono a casa e ho più tempo guardo tutte le gare dall’inizio alla fine, comprese le corse femminili. Naturalmente mi piace vedere Wout e Mathieu che corrono uno contro l’altro: le loro gare sono talmente belle che ti fanno venire voglia di provare a fare ciclocross. Ma se dovessi dire il nome del corridore al quale mi sono ispirato, senza dubbio direi Sagan. Era bello vedere le sue azioni e come andava in fuga».
La vita di Girmay è cambiata e Bini ora sa di essere un punto di riferimento per l’intero continente africano: per questo, a metà febbraio vuole correre e vincere i Campionati Africani.
«Sono orgoglioso di essere stato il primo africano di colore ad aver vinto gare importanti. Ai Campionati Africani voglio esserci, potrò indossare la maglia della mia nazionale e sarà un momento speciale per me, perché sono poche le occasioni che abbiamo di vestirla. Vincere il titolo è importante perché la mia gente sarebbe orgogliosa e io potrei rappresentare l’Africa in tutto il mondo. Sarebbe bello correre una Classica e magari anche vincerla indossando una maglia che per me è veramente speciale».
Girmay è diventato un eroe nazionale nella sua Eritrea. Lo scorso settembre è stato portato in trionfo con un corteo che ha attraversato tutte le strade di Asmara, la capitale. Il giovane eritreo confessa di non essere cambiato nonostante il successo anche se, come in un sogno, si è trovato a vivere qualcosa di incredibile.
«Certamente alcune cose sono cambiate. Adesso devo confrontarmi con i media che mi fanno domande prima e dopo le gare. Anche in patria sono diventato popolare e ci sono persone che mi fermano per avere un autografo o fare una foto, ma sono tutti molto rispettosi con me. È vero, certe volte mi sembra di vivere un sogno, ma adesso posso dire di non avere più la paura di svegliarmi».