Tiberi: «Piano piano sto crescendo»

di Nicolò Vallone

Spensierata consapevolezza. Consa­pe­vo­le spensieratezza. Questa è la ricetta di An­tonio Tiberi per proseguire senza intoppi, con traguardi intermedi e miglioramento continuo, il percorso evolutivo ai massimi livelli del ciclismo mondiale. Se la copertina di gennaio l’abbiamo dedicata ad Andrea Piccolo, a febbraio non poteva che toccare al suo alter ego ciociaro: en­trambi classe 2001, avversari nelle categorie giovanili e compagni Un­der 23 in Colpack Bal­lan, scalatori con le stimmate delle corse a tappe. Su di loro poggiano le più solide speranze del ciclismo italiano nel vuoto lasciato da Vincenzo Ni­bali e dalle generazioni d’oro di pochi anni e una vita fa. E Tiberi in Australia ha aperto la stagione, già la terza da professionista, con due piazzamenti nei primi dieci e un ottavo posto generale al Tour Down Under.
«So bene in che modo siamo considerati Andrea ed io - ci dice An­to­nio in quella che nel sud-est australiano è già sera mentre nella nostra redazione milanese è tarda mattinata - ma personalmente non sto a pensarci troppo: cerco di fare nel migliore dei mo­di ciò che sono chiamato a fare, e se ar­rivano i risultati tanto me­glio. Se mi soffermassi sulle aspettative riposte su di me, sarebbe solo un carico di stress: me le faccio rimbalzare addosso e faccio in modo che costituiscano una motivazione in più!»
Lo spirito, del resto, è quello del ragazzo che appena maggiorenne è salito sen­za pensarci due volte su un treno chiamato World Tour. Anno 2019, lui è al secondo anno Juniores nel Team Franco Ballerini e già dall’estate 2018 si è affidato alla procura dei fratelli Carera (l’età in cui i giovani ciclisti iniziano ad avere un agente continua ad abbassarsi, assicura Tiberi). Gli viene presentato un precontratto con la Trek Sega­fre­do: 2020 in Colpack perché da regolamento la stagione U23 deve far­la, poi il grande salto. Lui dice sì senza tanti indugi: «La premessa - ci spiega con ferrea lucidità - come in ogni cosa nella vita, è essere predisposti: sei pronto fisicamente e mentalmente per fare questo step? Se la risposta è no, allora non farlo perché se anticipi i tempi comprometti la carriera. Ma se senti di essere pronto, e sia io che le persone a me vicine eravamo tutti convinti che lo fossi, allora non devi aver nessuna paura di approdare tra i professionisti! All’inizio è dura, ovvio: cambi lingua, abitudini, modo di correre e di vivere... ma se superi e fai tesoro, da lì la strada è in discesa. Ti ritrovi che sei già lì dove volevi essere e hai solo da imparare e migliorare. Meglio così che farsi tre o quattro anni da di­lettante, tanto quando passi al World Tour non dico che ricominci da zero ma quasi.»
Antonio ci pensa poi sul campo, pardon sulla strada, a marchiare a fuoco quella firma su carta. Termina infatti il 2019 con la vittoria del Mondiale a cronometro juniores, nello Yorkshire. Un’autentica impresa, realizzata recuperando mezzo minuto abbondante di handicap per la rottura di un pedale in partenza (per la cronaca, secondo mi­glior azzurrino è un ottimo Piccolo che arriva sesto)! Dopodiché fa una scelta che a qualcuno può far storcere il naso, ma che in realtà è figlia del saper riconoscere le priorità del momento e i propri umani limiti: lascia la scuola per iscriversi ad un istituto privato e conseguire il di­plo­ma in un secondo momento. La maturità va presa, sia chiaro, ma se sai che il ciclismo è la tua vocazione e ti potrà dare da vivere e ammetti di non essere in grado di conciliare le due co­se efficacemente, giusto fare certe scelte. Anche perché, spesso ce lo di­mentichiamo, l’Italia è uno dei pochissimi Paesi dove le superiori terminano a 19 anni anziché a 18: sicuramente un bene per la preparazione culturale a 360 gradi, un valore da non disprezzare né disperdere, ma con l’effetto collaterale di penalizzare gli “under” italiani nel poter affrontare un calendario im­pegnativo in un’età ponte tra vivaio e professionismo.
In Colpack, nel surreale anno del Co­vid, arrivano tre vittorie, oltre a un ter­zo posto ai campionati italiani crono U23 dietro a Jonathan Milan e, toh, Andrea Piccolo. Proprio in coda a quel 2020, il debutto griffato Trek, da stagista, in quella che oggi Tiberi ricorda come la peggior giornata in bici della sua vita: 7 ottobre, Freccia del Bra­ban­te, «mi ha distrutto mentalmente e fisicamente, arrivai stra-finito! Quello stile belga su e giù a strappi continui non ce l’ho completamente nel sangue».
Un impatto che può abbatterti se non sei all’altezza, o che può scivolarti di dosso e insegnarti tanto se sei un Ti­beri. Il primo anno nel World Tour è di pura scuola, con un docente d’eccezione come l’idolo di gioventù: «Oltre a praticarlo, il ciclismo era l’unico sport che guardavo in tv - ricorda An­to­nio - e i miei idoli erano Alberto Con­ta­dor e Vincenzo Nibali: che esperienza trovarmi nella stessa squadra, e spesso nella stessa camera, con un Ni­bali che avevo sempre visto come una persona “irraggiungibile”».
Un altro compagno di stanza-maestro è Jacopo Mosca: «Dav­vero un uomo perbene, mi ha riempito di consigli fin dal primo ritiro in America al quale fui invitato: mi ha aiutato a mi­gliorarmi in diversi aspetti, ricordo in particolare quando mi fece capire l’importanza di presentarmi puntuale agli allenamenti, quando io da buon italiano all’inizio tendevo a essere un po’ ritardatario».
Nell’apprendistato del 2021 c’è stato spazio per un settimo posto nel campionato nazionale a cronometro vinto da Sobrero e per un podio di tappa al Giro d’Ungheria, antipasto della gioia che avrebbe vissuto il corridore laziale nel 2022. Sempre in terra magiara, sempre sulla salita clou di Kekesteto, il 15 maggio ecco la prima affermazione da professionista: Dunbar scatta a inizio ascesa e pare l’azione giusta (lo sa­rà comunque per la classifica generale), Tiberi aspetta i -2 km dal traguardo per far partire una personalissima “cronoscalata” che, con ritmo costante, lo avvicina all’irlandese fino al sorpasso esattamente sulla curva finale, quando le inquadrature tv sono già sulle teleca­me­re fisse e ritraggono le smorfie sfatte e felici del vincitore.
«Il secondo giorno più bello della mia vita ciclistica» (il primo resta il crono-oro iridato juniores 2019, of course) e un perfetto saggio delle caratteristiche di Antonio, che così si descrive: «Vero che ho conseguito risultati importanti nelle corse contro il tempo (da Allievo era pure stato campione italiano a cronometro ndr) ma da sempre ho vinto gare in linea sfruttando le mie doti sul­le salite, specie quelle lunghe e non troppo dure dove puoi impostare e te­nere un bel passo. Perciò, fin dal primo contatto con la Trek Segafredo lavoro per coniugare resistenza in salita e po­tenza nelle cronometro».
Non il prototipo del cacciatore di classiche belghe, dunque, ma del potenziale leader da grandi giri decisamente sì.
E infatti, qualche mese dopo c’è stato spazio per la prima partecipazione a una “tre settimane”: la Vuelta a Espa­ña, in cui ha fatto parte del team che ha aiutato Mads Pedersen a indossare la maglia verde sul palco di Madrid. Impressioni?
«Onestamente pensavo andasse peggio, e in effetti ci sono state giornate difficili, ma a conti fatti sono stato in grado di fare la mia parte per bene e ne sono uscito con un bel bagaglio di esperienza e di lavoro che adesso ho il dovere di mettere a frutto nel migliore dei modi».
A proposito di cronometro, salite e grandi giri, sbarchiamo nel 2023. Anno di un Giro d’Italia che avrà una cronoscalata decisiva. Come cambiano il ruo­lo e la preparazione di Antonio Tiberi?
«Sono stato ingaggiato molto giovane per effettuare un percorso di crescita graduale e lo stiamo facendo molto bene, alzando leggermente l’asticella ogni anno. La Vuelta ha contribuito notevolmente a “cambiarmi il motore” e ho adeguato la preparazione di conseguenza, aumentando i carichi e la qua­lità degli allenamenti. Qui in Au­stralia speravo di avere la conferma che la mia gamba è buona, e l’ho avuta. Vor­rei tanto fare il Giro, ma in organico ci sono molti validi papabili e io dovrò far bene negli impegni da qui ad aprile per meritarmi il posto. Altrimenti sarà di nuovo Vuelta, con esperienza e obiettivi più alti. Di Tour de Fran­ce ancora non se ne par­la, al momento sarebbe prematuro per me».
Ed eccoli gli impegni che, mandati in archivio Tour Down Under e Cadel Evans Great Ocean Road Race, permetteranno allo staff di Luca Guer­cilena di valutare il quasi ventiduenne Tiberi in ottica Corsa Rosa: UAE Tour («altra corsa al caldo... forse troppo!») poi a partire dal Laigueglia farà un calendario prettamente italiano. Forse farà la Tirreno-Adriatico, di sicuro farà la Settimana Cop­pi&Bar­tali, ormai “gara di casa” come vedremo più avanti: l’anno scorso fu quinto, la volontà è quella di migliorarsi e chissà di non fare come in Ungheria...
Un aspetto appare evidente: se c’è una squadra che non fa fare passi più lunghi della gamba, quella è la Trek Segafredo: «Chi l’ha definita come una seconda casa o famiglia, ha ragione - afferma Tiberi - perché qua tengono al rapporto umano e all’aspetto mentale dell’atleta in maniera differente che altrove, e questo alla fine ha un influsso positivo: ti fanno sentire a tuo agio. Pensate che il patron John Burke, quando facciamo a fine anno il tradizionale giro di meeting con gli sponsor negli Stati Uniti, una sera ci invita tutti a cena a casa sua per fe­steggiare e passare una bella serata in compagnia».
E in assenza di una World Tour italiana («Tra le nazioni culla di questo sport siamo gli unici a non averla: tornare ad avere una struttura composta in prevalenza da italiani nella massima categoria sarebbe un aiuto e uno stimolo per tutti quanti, ci vorrebbe!») la folta presenza di nostri connazionali, a partire da sponsor e team manager, aiuta senz’altro. A stretto contatto con Antonio, ad esempio, lavorano il direttore sportivo Adriano Baffi, il medico Gaetano “Nino” Da­nie­le, i massaggiatori Thomas Rech, Eugenio Alafaci e Stefano Cerea, il quale si occupa molto anche di Cic­cone.
Poi i compagni. Di Mosca s’è già det­to. In Australia a condividere la stanza con Tiberi è stato Filippo Baron­ci­ni, col quale condivide il passaggio in Colpack (un anno dopo di lui) e un oro mondiale (gara in linea Under 23 a Lovanio 2021). E a completare, cu­riosamente, un trio di uomini d’altura del centro Italia, ci sono gli abruzzesi Dario Ca­taldo e Giulio Ciccone. «Con Dario ho legato parecchio e abbiamo fatto pure la Vuelta insieme - racconta Antonio - e con “Cicco” viviamo nello stesso palazzo quindi usciamo spessissimo in bici. Se gli pe­sano certe pressioni e critiche? Im­ma­gino di sì, ma non sono argomenti di cui tra corridori amiamo parlare.»
Allargando i confini della nazionalità, lo straniero con cui Tiberi ha legato maggiormente è in realtà un “italiano d’adozione”: Natnael Tesfatsion, appena arrivato dalla Androni, che peraltro in Trek ha trovato un altro eritreo co­me Amanuel Ghe­breigzabhier. Su “Natalino” Antonio ha da fare una rivelazione: «Per il suo modo di correre viene un po’ guardato storto dal gruppo, io ero uno dei pochi a non avere problema alcuno con lui e anzi, quando ho scoperto che veniva da noi sono stato contentissimo. Adesso in squadra si stanno tutti convincendo che è soprattutto un ragazzo d’oro, stra-simpatico».
Chi sono invece i compagni che, lavorandoci insieme, in questi due anni hanno impressionato di più Antonio Tiberi?
«Sicuramente Pedersen. Ricordo una tappa alla Vuelta che si apriva con una salita da venti minuti, di quelle in cui una ruota veloce è facile che si stacchi: lui ha detto “io oggi questa salita la passo” ed effettivamente se l’è fatta in testa al gruppetto dov’eravamo, mentre io stavo venti metri più indietro e sono riuscito a riagganciarmi a lui con un forcing nei 500 metri pre-scollinamento! E inoltre Quinn Simmons, il cavallo matto del team: va sempre a tutta, ha un motore indescrivibile. È stato bello l’altra mattina svegliarsi guardando la sua zampata da finisseur in Argentina (terza tappa della Vuelta a San Juan ndr).»
Ma alla fine della fiera, la Trek Se­ga­fredo era soddisfatta dei risultati del 2022? E quali obiettivi ha posto per il 2023? Risponde Tiberi: «Sono rimasti soddisfatti soprattutto dal fine stagione, con la classifica a punti della Vuelta conquistata da Pedersen, il quale aveva pure vinto una tappa al Tour. E al Giro c’era stato il successo di Ciccone a Co­gne. Vincere almeno una tappa in ciascun grande giro ha dato dimostrazione della nostra forza, e proprio per questo le aspettative per la stagione ap­pena cominciata sono alte. Cerche­remo di risalire il ranking UCI rispetto al dodicesimo posto con cui abbiamo chiuso il 2022, portando a casa altre vittorie nei grandi giri e provando ad ag­giungere qualche bella classica, ma­gari proprio con Pedersen e Simmons o anche Jasper Stuyven che vinse la Milano-Sanremo 2021.»
E pensare che in bicicletta, secondo i voleri paterni, Antonio non ci doveva nemmeno salire. Nonostante fosse stato pure ciclista dilettante e usasse la bicicletta per spostarsi, papà Paolo Ti­beri non ne voleva sapere di mettere il figlio su sellino e due ruote: per convincere e tener buono il piccolo, gli aveva pure detto che non esistevano biciclette per bambini.
Senonché un giorno la Divina Prov­videnza si manifesta in quel di Ga­vi­gnano, il paese dei Tiberi, sotto forma di... transenne! È il passaggio di una corsa ciclistica di Giovanissimi. La bu­gia genitoriale non regge più, un An­tonio di quasi otto anni scopre che le bici su misura per bimbi esiste eccome e inizia a chiederne una a gran voce. A esaudire il suo desiderio al compleanno è lo zio Luigi Salvatori, fratello di mamma Nadia, che lo iscrive alla Cicli Nereggi, nella vicina Anagni.
Antonio Tiberi parte dunque dalla ca­te­goria G2. Come nelle più classiche storie edificanti padre-figlio, il signor Paolo segue il pargolo passo passo: lo accompagna, lo corregge e lo porta in giro a correre. Spesso fuori dal Lazio. Spesso in Toscana, che tra le regioni confinanti è quella di maggior tradizione ciclistica. Su quel giovanissimo ciociaro mette gli occhi l’Olimpia Val­darnese, ed è così che il quadriennio Esordienti e Allievi va in scena soprattutto dalle parti di Montevarchi, grazie anche alla disponibilità dei dirigenti Francesco Sarri e Francesca Bindi che in alcuni frangenti ospitano Antonio a casa.
Con 42 vittorie da allievo in cascina (tra cui il già citato tricolore crono) il promettentissimo Tiberi per il 2018 deve trovarsi una formazione juniores, dato che la Valdarnese non fa tale categoria. Rimane nella patria di Dante e il resto è storia: 17 successi nel Team Ballerini sotto la direzione di Davide Lenzi, abitando un po’ nell’hotel del meccanico Alessio Zucconi e un po’ a casa del compagno di squadra Alessio Riccardi, tuttora amico fraterno.
Un biennio culminato con l’iride della crono e seguiti da quanto narrato so­pra.
Parallelamente alla passione della bici, il giovine Antonio ne ha sempre avuta un’altra: quella per le armi. In senso sportivo, sia chiaro! Da piccolo, nella fattoria di famiglia, si “allenava” a colpire le lattine con le soft-air. Appena compiuti 18 anni si è premurato di ac­quisire il porto d’armi e quando ha un po’ di tempo va a sparare al poligono Legio Silent di Ferentino.
Alla luce di tale hobby, volendo scherzare ma nemmeno troppo, appare quanto mai azzeccato il cambio di re­sidenza dello scorso anno. Tiberi vive infatti nella Repubblica di San Ma­rino, che «quando andavo in va­canza coi miei a Rimini e Riccione, sapevano di dover fare una capatina in quello che per me era tipo il paese dei ba­locchi, con tutti quei negozi di armi! Oggi San Marino è il luogo do­ve abi­to, in una palazzina a pochi me­tri dal bel centro storico di Città. Co­me vicini di casa ho Nicola Conci e Lorenzo Rota, mentre in un’altra ala dell’edificio vive Cic­co­ne. Con loro a volte mi alleno, ma per uscite extra bici, passeggiate, aperitivi, sfide alla Play­Sta­tion e via dicendo viene a trovarmi Deep, un mio caro amico indiano che veniva alle superiori con me e ora studia all’università a For­lì».
Sarebbe interessante una sessione di tiro e una pedalata tra il ta­lento della Trek Se­gafredo e Ales­sandra Perilli, tiratrice a volo sammarinese che ai Giochi di Tokyo ha vinto la prima storia medaglia olimpica per il microstato del Monte Titano. Ad ogni modo, tra una considerazione e l’altra, la piacevole chiacchierata italo-australiana con An­tonio Tiberi sta per volgere al termine. Anche perché 36 ore più tardi lui e il “coinquilino” Baroncini hanno una Great Ocean Race da disputare e noi non vogliamo essere colpevoli di sonno perduto.
Chiudiamo allora con cinque “flash”: Vie­ni da un territorio che non ha una storia di grandissimi corridori: come ci si sente a esserne un po’ il capofila ciclistico?
«Qualche nome c’è stato, come Fran­co Vona, Valerio Agnoli e ora il neopro Lorenzo Germani, però sì, fa ve­ramente piacere portare nel mondo il nome della Ciociaria.»
Qual è la gara che ti ha affascinato di più dal punto di vista non agonistico ma per gli scenari in cui hai corso?
«La Corsa della Pace in Repubblica Ce­ca, dove vinsi due tappe da junior nel 2019: clima perfetto tra i 20 e i 25 gradi, i campi gialli di colza, una zona che mi colpì particolarmente.»
Hai mai provato o proverai mai la pista e il ciclocross, come ormai fanno sempre più stradisti?
«Sono e resterò sempre uno stradista. Una bici da pista non l’ho mai inforcata e non ho mai nemmeno provato lo sterrato: dovesse per caso capitare qualche occasione ok, ma solo come al­lenamento».
Come vivi il problema della sicurezza sul­le strade italiane?
«Purtroppo è un argomento sempre di at­tualità, il ciclista continua a essere malvisto dagli automobilisti: bisogna insegnare il rispetto e le regole in strada fin dalle elementari. In Au­stra­lia ho visto cartelli che in­vitano a condividere la strada con chi va in bicicletta e mantenere il metro e mezzo di distanza. Cose di cui in Italia si parla e che magari si iniziano a vedere sporadicamente: lo Stato deve lavorarci su, noi siamo la parte più debole della strada, non abbiamo nemmeno una tuta come quella dei motociclisti. Io per fortuna non ho mai avuto incidenti: mi alleno tanto da solo e ho im­parato a gestirmi senza essere d’intralcio al traffico, poi qualche volta i riflessi pronti mi hanno permesso di schivarla...».
Ultima curiosità: qualche rituale particolare o qualcosa che in genere ti piace fare prima delle gare?
«Non ho bisogno di scaramanzie o attività per calmarmi: non mi faccio prendere dall’ansia e me la vivo tranquillamente».
Consapevole spensieratezza. Spensie­ra­ta consapevolezza.

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