Bernal, Welcome back Egan!

di Giulia De Maio

Il suo compleanno è a gennaio. L’anagrafe dice che è nato il 13 del primo mese del 1997, ma la sua seconda vita è iniziata un an­no fa il 24 dello stesso mese, quando un terribile incidente stradale ha rischiato di portarci via uno dei talenti più cristallini del ciclismo attuale. Abbiamo incontrato Egan Ber­nal ad un anno di distanza da quel ma­ledetto giorno, che in un certo senso lui definisce benedetto perché gli ha dato una seconda possibilità e insegnato ciò che conta: l’amore delle persone che ci circondano e che nei momenti di difficoltà ci danno la forza che ci man­ca.
«Ho ricevuto tanti auguri, proprio co­me se fosse un secondo compleanno, d’altronde è una data speciale che ha segnato la mia vita. Potevo morire o re­stare sulla sedia a rotelle» confida Egan, cogliendo l’occasione per ringraziare ancora una volta chi lo ha assistito all’ospedale di Bogotà e tutti gli specialisti che gli hanno permesso di tornare a svolgere l’attività che ama.
«Sono stati giorni agrodolci, la priorità era tornare ad avere una vita normale, a camminare per esempio, l’ultima cosa a cui pensavo era la bici sinceramente. Mi ripetevo “sono vivo, con la mia fa­miglia” ed era l’unica cosa che contasse. Se fossi morto o rimasto paralizzato sarebbe stato un dramma. Alcuni mo­menti sono stati particolarmente duri, ma mai tristi. Se fossi stato costretto a smettere di correre sarebbe stato difficile da digerire, ma l’avrei accettato. I dottori erano molto scettici sulla possibilità che avrei potuto riprendere la mia professione. Dopo aver vinto Giro e Tour non volevo tornare in gruppo solo per soffrire o tanto per finire le corse. La voglia di tornare ai livelli a cui vi ho abituato c’è, se no mi sarei ri­tirato. Ogni giorno mi sveglio con l’ambizione di essere il migliore, di allenarmi, fare sacrifici, percorrere un chilo­me­tro in più, sprigionare un watt in più, mettere su un chilo di muscolo in più».
Ci è sembrato magrissimo, gli abbiamo chiesto se fosse una scelta voluta per tornare ad andare forte in montagna o fosse una conseguenza del lungo stop: «La vostra impressione è giusta. Senza cercarlo sono già tirato. Sto mangiando bene, seguito dal nutrizionista Aitor Vi­ribay, semplicemente il mio corpo dopo tanto tempo senza fare esercizio è cambiato a livello di metabolismo. Mi sento forte e motivato per una stagione chiave nella quale capirò effettivamente come reagirà il mio fisico. Non sarà decisiva, ma sarà indicativa per capire se sono in grado di tornare a vincere o meno. Ri­flet­tendoci sarebbe più normale che nel 2023 io non vincessi, ma l’ambizione è quella».
Il vincitore del Tour de France 2019 e del Giro d’Italia 2021 ha iniziato la nuova stagione con grande voglia di correre.
«Mi sento bene, mi sono allenato normalmente negli ultimi mesi. Anche se gareggiare è diverso che allenarsi, ho fiducia. Mi aspetto una corsa fisica per via del caldo e dei corridori argentini che nelle tappe di salita vorranno mettersi in mostra. La gente si divertirà» ave­va detto alla vigilia della partenza della Vuelta a San Juan, la sua prima corsa dell’anno. Così è stato, anche grazie a lui che nella quarta tappa ha attaccato da lontano per testarsi e in quella successiva con arrivo all’Alto de Colorado ha colto un quarto posto davvero incoraggiante, battendo tra gli al­tri Evenepoel, e ricevendo grande affetto da parte dei tifosi di ogni età. Ed il ritiro del sesto giorno, per un dolore al ginocchio picchiato in una caduta nella tappa d’esordio, non sembra preoccuparlo.
«Per me è motivante essere un riferimento per i bambini. Sentirmi chiedere una borraccia o una foto mi ricorda co­me eravamo io e mio fratello Ronald da piccoli, quando a 13/14 anni sognavo di correre il Tour. Vedere così tanta passione è stupendo» ha raccontato nella conferenza stampa d’apertura del­la corsa argentina in cui si è presentato al fianco del campione del mondo Evenepoel.
«La caduta di Remco al Lombardia 2020 è stata dura, lavorando sodo è tornato al miglior livello, vincendo un grande giro e il mondiale, reggendo tra l’altro una pressione non indifferente. Essere la più luminosa promessa belga, paragonata di continuo a Merckx, non deve essere facile. La sua tenacia e resilienza mi hanno ispirato».
Lui ha fatto altrettanto diventando un riferimento per chi si trova a vivere situazioni molto complesse.
«Potrà sembrare strano, ma il 2022 è forse stato uno dei migliori anni della mia vita. L’incidente ha annullato tut­to, mi ha costretto ad aver pazienza, mi ha insegnato che la famiglia è ciò che conta di più in assoluto. Siamo tutti umani, ci può succedere qualunque co­sa. Sentiamo spesso raccontare di persone malate e dei morti in incidenti ma ci sembra qualcosa di lontano e che non ci capiterà mai invece negli ultimi mesi io ho rischiato la vita svolgendo il mio lavoro, mamma Flor Marina ha avuto il cancro e anche papà Germán è stato molto malato, in pochi lo sanno, ma a inizio anno ha rischiato di perdere un occhio. L’importante in questi mo­menti in cui non sai dove sbattere la testa è avere qualcuno su cui appoggiarti. Anche se sei Superman hai bi­sogno di qualcuno a cui aggrapparti. Non importa se sei un campione o quanto sei forte, se ti accadono eventi così destabilizzanti hai bisogno di supporto» continua Egan, che nella seconda parte del 2022 aveva già messo in­sieme 12 giorni di competizione con un 28° posto alla Coppa Sabatini di Pec­cio­li come miglior risultato. Ma è evidente che per l’unico non europeo del­la storia ad avere nel palmares sia il Gi­ro sia il Tour la vera ripartenza faccia rima con 2023 e non è un caso che ab­bia deciso di mettere il dorsale sulla schiena già a gennaio: «Ho dovuto ri­cominciare da zero, anche azioni co­me mangiare o lavarsi i denti all’inizio so­no state dolorose, come una nuova scoperta. Naturale che abbia pensato al ritiro agonistico. Ora però è tutto alle spalle e qui alla Vuelta a San Juan co­mincia il percorso verso il Tour de Fran­ce».
La riabilitazione è stata lunga e difficile, ma Egan (in Colombia pronunciato all’inglese con la i iniziale, come se fos­se una star hollywoodiana, ndr) è certo che in questo nuovo anno potrà tornare a brillare.
«La prima corsa del 2023 mi ha dato indicazioni importanti. I valori espressi in allenamento erano incoraggianti, ma il confronto in gara è un’altra cosa».
Era il 24 gennaio del 2022 quando il corridore della Ineos-Grenadiers sulle strade della sua Colombia, impegnato con la bici da crono, si schiantò contro un bus, che si era fermato per far scendere dei passeggeri, a circa sessanta all’ora, rompendosi una ventina di os­sa.
«È stato molto duro, ma forse si può considerare, in un certo senso, la cosa migliore che mi sia capitata. O una del­le migliori. Se potessi tornare indietro, sarebbe stato meglio se non fosse accaduto. Se però devo fare un bilancio adesso... Mi sono avvicinato a Dio e alla mia famiglia. Ho conosciuto persone molto buone. Ciò che ho guadagnato con l’incidente non avrei potuto ot­tenerlo in nessun altro modo. Quan­do avrò figli e nipoti racconterò loro che il padre, il nonno, quasi si ammazzò a 25 anni contro un autobus. In modo che ca­piscano questo: pure le cose così brutte possono finire bene».
Dopo 47 giorni dall’incidente Bernal era fuori dall’ospedale ed aveva ricominciato ad allenarsi sui rulli, ma il recupero è stato lungo e solo adesso è certo di essere tornato competitivo. Nella riabilitazione è stato se­guito da Cristian Alonso, fisioterapista e amico che subito era andato dal campione per sostenerlo dopo l’incidente e che lo ha seguito passo dopo passo nel percorso di recupero, insieme ad una equipe colombiana. Tra le tante operazioni a cui si è sottoposto c’è sta­to spazio an­che per un pizzico di vanità, Egan si è infatti rifatto il setto nasale fidandosi del chirurgo estetico Gustavo Miery. Dopo le operazioni funzionali, si è convinto a questo ritocco dopo aver visto al computer insieme alla fidanzata Ma­ria Fernanda Motas come sarebbe di­ventato. Ovvia­men­te non voleva stravolgere la sua figura, ma solo sentirsi meglio.
La prima gara, il 16 agosto al Giro di Danimarca, è stata un miracolo me­di­co e di volontà: nel tamponamento violentissimo contro un bus fermo a bor­do strada si era rotto femore e rotula destri.
«Riattaccare il numero alla schiena fu super emozionante - ricorda ora. - Mi sentivo come un bambino alla prima corsa e ho capito quanto è grande il mo­vimento di cui facciamo parte. Ho recuperato un po’ quello che vivendo in questa bolla diamo per scontato, mi sono reso conto di quanto sia impressionante una gara di ciclismo vista da fuori e mi sono sentito di nuovo par­te di qualcosa di eccezionale».
Quei 12 giorni di gara del 2022, con 1.620 km percorsi, sono stati il ritorno ufficiale di Egan. L’ultima gara nella sua amatissima Italia, il 15 settembre a Peccioli, dopo quattro tappe in Da­ni­mar­ca e altrettante al Giro di Ger­ma­nia. Quindi l’operazione in Colombia al ginocchio destro per ripulirlo dai frammenti della rotula ancora presenti nell’articolazione: Egan è risalito in sella a ottobre, motivatissimo.
«Ha lavorato tantissimo per ricostruire tutta la mu­scolatura. Non solo della gamba destra, ma anche dell’altra: non aveva più nulla. Prima poteva fare soltanto ore in bici come una persona qualsiasi, adesso potrà iniziare con il potenziamento» spiegava il suo manager storico Beppe Acquadro a fine 2022. La ginnastica correttiva e l’uso degli elastici per rinforzare i muscoli lesionati, lo stretching prima e dopo ogni uscita in bici, l’uso della palla ginnica per l’equilibrio: ormai Bernal convive da mesi, e lo farà per ancora tanto tem­po, con questi strumenti. E al suo fianco c’è sempre la figura chiave del medico brasiliano Rafael Santos, re­spon­sa­bile dello staff sanitario della squadra determinante in quei drammatici giorni di gennaio di un anno fa. Dopo la trasferta argentina, Bernal ha in programma i campionati nazionali in Colombia del 5 febbraio e poi volerà in Europa per correre la Ruta del Sol (15-19 febbraio) e se starà bene Parigi-Niz­za (5-13 marzo) e Giro di Catalogna (20-26 marzo). Il Team Ineos - squadra per cui corre dal 2019 - ha ritrovato il suo leader indiscusso: dopo aver vinto sette Tour su otto (da Wiggins 2012 a Ber­nal 2019: unica eccezione Nibali 2014), la squadra con il più alto budget del circuito mondiale (50 milioni di euro) ha subito in Francia le sconfitte da Po­ga­car e Vinge­gaard. A Matteo Tosatto, il direttore sportivo trevigiano che ha guidato ai trionfi rosa Geoghe­gan Hart nel 2020 e Bernal nel 2021, al primo ritiro di Nizza aveva assicurato: «Pos­so cominciare la stagione come ho sem­pre fatto, come un corridore vero, e non come un corridore infortunato che pensa ai dolori. Voglio tornare quello di prima».
Anzi, più forte di prima.
«Non ho paura, in allenamento all’inizio quando andavo sopra i 60 km/h ci facevo caso e i primi chilometri al rientro alle corse li ho vissuti in modo strano, ma penso sia normale. Ora sono più forte psicologicamente. Mi sono chiesto tante volte: vale la pena continuare? Tornerò al mio miglior livello? Ha senso far stare in pensiero i miei cari per il tanto tempo che devo trascorrere in strada? La risposta che mi sono dato a tutte queste domande è che sono nato per essere un ciclista e non immagino la mia vita senza bici. Ho conosciuto tante persone che stanno passando momenti difficili, se in qualche modo posso ispirarle per me è un do­no. Voglio dare una risposta a chi sta in terapia intensiva o in una camera d’ospedale domandandosi se tornerà mai a camminare e dimostrare a me stesso di poter tornare alla più grande corsa a tappe del mon­do da protagonista. Stavo preparando il Tour de Fran­ce prima di cadere, è la corsa che mi ha fatto conoscere al mon­do, voglio tornarci, sono nella preselezione ma de­vo dimostrare di essere al livello ri­chiesto, non è una corsa facile, anche perché non voglio andarci tanto per fare numero».
Gli avversari sulle strade della Grande Boucle non mancheranno, a partire dal campione uscente Jonas Vingeegard e Tadej Pogacar, due volte in giallo dopo di lui, ma Egan non ama per niente le rivalità.
«So che a voi giornalisti è un gioco che fa comodo, ma io lo trovo stupido. Io non corro “contro” qualcuno, penso a me e se uno è migliore di me tanto di cappello. Dopo che vinsi la maglia gialla si iniziò a scrivere che Bernal avrebbe vinto sette Tour consecutivi, poi è stato det­to lo stesso di Pogacar e Vin­geegard... Questi discorsi per me lasciano il tem­po che trovano. Dopo quanto mi è accaduto, ridurre tutto alla prestazione sportiva o a un risultato lo trovo molto limitante. Ho imparato che ciò che con­ta è avere persone attorno che mi amano ed essere felice».
Per il momento nel 2023 non sono previste per lui corse in Italia, terra a cui è profondamente legato.
«Spero di tornare presto nel Paese che mi ha cresciuto ciclisticamente. Ci ho vissuto tre anni, ho tanti amici, mi piace il Giro e i tifosi sono speciali».
Prima di salutarlo gli chiediamo quanto è lontano dalla forma del Giro e Tour vinti.
«Ora siamo a inizio anno quindi non si può paragonare con due delle migliori fasi della mia carriera, ma mi sento vicino a come stavo a inizio 2020-2021 e sto svolgendo la stessa preparazione, quindi sono tranquillo e fiducioso. Non penso a Chris Froome né posso fare paragoni con altri atleti ritornati alle competizioni dopo gravi infortuni. Ognuno ha la sua storia. Fos­si stato sicuro di non poter tornare a vincere una grande corsa mi sarei ritirato, se sono ancora qui è perché pen­so proprio che posso ancora divertirmi e togliermi qualche bella soddisfazione».

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