QUEL GIRO DEL ’69
di Gian Paolo Porreca
Noi non sappiamo ancora, oggi che scriviamo, chi avrà vinto il Giro del 2019. Curiosamente, per quella supremazia del maggior diritto che certe volte ha il lettore, voi che leggete questo testo, lo avrete già conosciuto. Un bel vantaggio, certo, di cui però noi non sentiamo il peso specifico, perché qui vi parliamo invece cocciutamente di chi il Giro del 1969 - il Giro di 50 anni fa - non lo vinse affatto.
Noi ormai, sarà stato pure l’effetto meteo di questo maggio improprio, che al massimo del giorno guardiamo che luna, e non riusciamo più a guardare che sole, noi che ci riparliamo addosso a decadi alterne, non più per molto, raccontiamo ancora di chi il Giro del 1969 non lo vinse affatto, e che pure ne indossa l’immagine emblematica.
Il Giro del ’69 è il Giro che Eddy Merckx, in rosa stabile, perse a causa della squalifica subita per la positività al controllo antidoping eseguito al termine della crono di San Marino, da lui vinta il 30 maggio.
Quella squalifica dovuta, per la presenza rilevata nelle urine del Reactivan, uno stimolante vietato, e che gli sarebbe stata notificata, dopo il giorno di riposo e la frazione del 1° giugno vinta da Ballini a Savona, l’indomani, alla partenza del Giro da Celle Ligure.
Bene, o male, il Giro lo avrebbe vinto il nostro Gimondi, la cronaca scabra resta nel tempo scolpita, come i giorni e i nomi, come una lapide, come la geografia. Il livornese Ballini, il danese Ritter che avrebbe fatta sua la frazione appunto del 2 giugno, da Celle Ligure a Pavia, il paese di Albissola e l’Hotel Excelsior dove alloggiava la “Faema” del campione belga, e dove al mattino presto viene annunciata quella notizia “Merckx positivo”, Eddy fuori dal Giro, che avrebbe avuto il clamore deflagrante di una esplosione, nel sereno itinerario del Giro.
I fatti, la cronaca, le polemiche accese pure, “chi ha tradito Merckx?”, le pagine intere dei giornali sono tutte lì, certo distanti, Zavoli Raschi Montanelli, non c’erano i social. Ma il sentimento tenacemente palpita ancora forte, sia pure di lato. Si posa e si rifugia, come nel tabernacolo dello sport, mica solo il ciclismo, in quella foto che ritrae Eddy Merckx, già pronto in tenuta di gara, pantaloncino nero con le lettere bianche “Faema”, disteso con le mani al volto a celare un pianto dirotto sul lettino di albergo. Un lettino che sembra scarno come la cuccetta di un soldatino al fronte.
Quella fotografia che ha girato il mondo ritorna sentimentalmente a noi, ad ogni Giro di mattina, forse pure ad ogni sera, non solo di occasione.
Era la stagione in cui le lacrime e il dolore di un campione ferito intimamente, doping o meno, arrivavano molto prima degli avvocati di parte. Era un giorno come ci sarebbe piaciuto troppo nella vita, sempre a cuore aperto, pagato senza sconto. Era il tempo in cui un ragazzo di ventiquattro anni sarebbe diventato uomo, la maglia rosa ripiegata in valigia, Giacotto e Van Bouggenhout, i suoi padrini, contriti al fianco. Era il 2 giugno, la Festa della Repubblica in Italia, di 50 anni fa. Un giorno che salutava, senza poterlo prevedere affatto, con quel Giro da sconfitto, la conquista della Monarchia del ricordo, per Eddy Merckx.