E’ stato, a suo modo, un personaggio che ha conosciuto diffusa popolarità nell’ambito ciclistico degli anni 1970 e i primi del 1980.
Una popolarità che gli derivava e che andava a ricercarsi, con scelte meditate e studiate ”a tavolino”, verrebbe da dire, con una sorta di “marketing” personale mirato su criteri propri, sulle strade del Giro d’Italia quando, subito dopo la carovana pubblicitaria, passava in sella alla sua bicicletta da corsa e con il cappello d’alpino in testa, lungo le strade della corsa rosa e di altre competizioni importanti.
Era Antonio Meneghini, per tutti Toni, vicentino di Chiampo (il comune dove è nato anche Albano Negro, buon professionista negli anni ‘60, primo vicentino a indossare la maglia rosa nel Giro d’Italia 1965 quando correva nella Bianchi-Mobylette, prematuramente scomparso nel 1988) dove Toni Meneghini era nato nel 1927. Era un cicloamatore con buone doti di base e, soprattutto, grande passione per le due ruote che rappresentavano per lui sempre un’evasione dalla dura routine quotidiana.
Andare in bicicletta era per Toni Meneghini un costante divertimento e la fatica che, sovente, l’esercizio richiede, non lo spaventava, anzi lo attirava e la ricercava.
Sbarcava il lunario, come si suole dire, aiutando la sorella che gestiva un banco di merceria e simili nei mercati della zona e lavorando anche come imbianchino, mestiere poi intrapreso dai figli.
Godeva dell’amicizia e di varie attenzioni di un vicentino di grande popolarità nell’ambiente ciclistico, e non solo, come l’estroverso velocista Marino Basso. Un’amicizia nata quando Basso passò al professionismo con la Mainetti e rimase nella formazione vicentina di Castelgomberto che si basava soprattutto su corridori del territorio per i due anni d’attività (1966 e 1967) della squadra fra i professionisti e passare quindi alla Molteni diretta da Giorgio Albani. A ricordo della Mainetti nel ciclismo c’è l’omonimo velodromo ora utilizzato quale scuola d’avviamento al ciclismo su pista (una pista che misura 287 metri) dei giovanissimi.
Prime e quasi timide apparizioni sui percorsi delle gare ciclistiche professionistiche fidando e contando anche sull’appoggio esterno, per usare una terminologia d’uso politico, di Marino Basso che va sempre più imponendosi come sprinter di caratura internazionale, soprattutto nelle corse a tappe. Sfoggia sempre il caratteristico cappello con la penna nera d’ordinanza, a ricordo del servizio militare compiuto fra gli alpini. Ben presto Antonio “Toni” Meneghini diventa, nell’ambiente ciclistico, “l’alpino” per definizione. La divisa ciclista riflette, in prevalenza, la varia generosità delle squadre professionistiche mentre la bicicletta di riferimento diventa la Alan.
Alan, azienda di Saccolongo, in provincia di Padova, fondata dall’ing. Lodovico Falconi nel 1972 (Alan sono le iniziali del nome dei due figli dell’ing. Falconi), privilegia e si specializza da subito nella costruzioni di telai in lega d’alluminio, senza congiunzioni, con i tubi incollati. Accanto a squadre professionistiche e specialisti del ciclocross anche l’alpino diventa un costante utilizzatore della bicicletta del marchio padovano.
La logistica dell’alpino era molto semplice e spartana. Viaggiava in pratica con solo leggero bagaglio a mano, un cambio di biancheria e la mantella gialla in cerata per proteggersi dalla pioggia, e fidava sull’aiuto e sull’ospitalità che lo stesso richiedeva e otteneva dalle squadre. Un’ospitalità che ricambiava con piccoli servizi e una sorta di sorveglianza ai materiali durante le ore notturne. Allora i mezzi e il personale al seguito delle squadre erano assai ridotti rispetto alle proporzioni in uso oggi.
Subito dopo, in linea temporale, diciamo verso la fine della prima metà degli anni ’70, avviene la conoscenza con Giuseppe Bigolin, il “boss” di Selle Italia, che guidava allora, così come ora con il figlio Riccardo, la Selle Italia. Erano i tempi di una crescita e di un’affermazione esponenziali della produzione Selle Italia che ricercava la sua visibilità nell’ambito del professionismo arrivando poi a sponsorizzare il Gran Premio della Montagna al Giro d’Italia. Scatta subito una profonda simpatia di Giuseppe Bigolin verso l’Alpino sia a causa della comune origine veneta, vicentina in particolare, sia perché Giuseppe Bigolin era stato militare fra gli alpini. E anche per molti altri motivi ritrovabili nella natura di Toni Meneghini, entusiasta, positivo, allegro in tutte le sue attività ed espressioni caratterizzato da un grande rispetto verso le persone e verso il cibo, anche il più parco e povero. Un rispetto che non è da confondere con l’avarizia o l’ingordigia ma dettato da un innato senso della misura.
In bicicletta si sentiva libero e accusava raramente sintomi di fatica. Non è un segreto che non compisse per intero il percorso di gara anticipando i corridori ma, in base all’altimetria, sceglieva la lunghezza della sua prestazione. Era presente al ritrovo di partenza per riscuotere la prima razione d’applausi poi, anticipando leggermente il via, solitamente, trovava ospitalità con la sua bicicletta su un furgone della carovana che anticipava la corsa. Fra i suoi preferiti quello della Freni Universal di Milano con Fumagalli e Agostoni che lo ospitavano volentieri. Poi, solitamente a una cinquantina di chilometri dall’arrivo, scendeva dal mezzo e si metteva in coda, in bicicletta, alla carovana pubblicitaria. E gli applausi erano tutti per lui. Nei finali con l’altimetria maggiormente impegnativa non disdegnava gli “aiutini” e, soprattutto lontano dagli spettatori, si attaccava volentieri a qualche vettura per riprendere il respiro.
Il meglio lo dava sul rettilineo d’arrivo quando, anche con buona propensione scenica, accompagnato dalla tonitruante voce (diritti d’autore a Gianni Mura) dello speaker Carlo Proserpio che sollecitava l’applauso per lui, mostrava, anche enfatizzandoli con accentuati movimenti del corpo e smorfie del viso, la fatica compiuta per poi stendersi in un largo sorriso. E tagliava il traguardo a braccia alzate, salutando con trasporto gli spettatori, sempre primo…., sempre fra gli applausi. Poi, soddisfatto, svestiva i panni del protagonista e, sempre in uniforme di corridore, rientrava nei ranghi e si preoccupava di procacciarsi la cena e il posto dove trascorrere la notte. Il cassone del camion materiali di una squadra, in mancanza di meglio, andava benissimo per l’alpino, così come – quando non c’era di meglio – i resti dei sacchetti rifornimento che i vari massaggiatori non gli facevano mai mancare e il cui contenuto sempre apprezzava, come apprezzava qualsiasi tipo di cibo. Era rispettoso delle regole e quando il servizio d’ordine della corsa lo sollecitava ad aumentare l’andatura o, addirittura, talvolta, a fermarsi per problemi contingenti, obbediva con sollecitudine. Aveva, a suo modo, anche grande spirito di servizio e non approfittava mai delle situazioni.
Per anni via così con la famiglia, due figli che sulle orme del padre lavorano nel campo edile con la tinteggiatura e per l’alpino le “libere uscite” dalla quotidianità con la sua partecipazione alle corse.
Purtroppo, ai primi anni ’80, superati abbondantemente i cinquant’anni, con energie e vitalità fatalmente e inevitabilmente ridotte, il male oscuro s’impadronisce e intristisce l’alpino che non risponde alle sollecitazioni e agli inviti degli amici e si chiude sempre più in se stesso e, nel 1984, mette fine alla sua vita con un gesto tragico.
Una conclusione drammatica che il carattere e lo svolgersi della vita di Toni Meneghini non lasciava assolutamente presagire e che ha colpito e sorpreso tutti quelli che lo conoscevano.
Giuseppe Bigolin e i molti che l’hanno conosciuto da vicino, sempre sensibili al ricordo e all’amicizia come per Armando Zamprogna, lo ricordano sempre con affetto e rimpianto, a distanza di quasi trent’anni, così come altri amici del tempo di un ciclismo che fu.
giuseppe figini