Bici da corsa. E via. Per scaricarsi e ricaricarsi, per evadere e inseguire, per pensare e sognare, per pedalare e progettare. Tanto da essere nominato Monsieur Velo, il signor bicicletta, titolo attribuito non in omaggio o in onore o alla memoria, ma con obiettivi concreti e compiti urgenti: coordinare, fra vari ministeri e non solo per quello dell’Ambiente che lo aveva istituito, lo sviluppo dell’uso della bicicletta in Francia. Missione compiuta.
Haroun Tazieff, 110 anni dalla sua nascita, domani. Figlio di un principe tartaro, ufficiale medico ucciso sul fronte della Prima guerra mondiale in Russia, e di un’insegnante di Chimica e Scienze naturali, nonché pittrice, nonché comunista, Haroun nasce a Varsavia un paio di settimane prima che scoppi la Prima guerra mondiale e cresce in Georgia. Alla Rivoluzione di ottobre, 1917, mamma e figlio fuggono in Belgio. La madre ottiene una cattedra all’Università di Liegi e incontra un altro uomo, il poeta Robert Vivier, che fa da padre a Haroun.
Ricevuta la cittadinanza belga, Tazieff s’iscrive all’Università e si laurea in Agronomia. E’ in questo periodo che va in bici e si appassiona al ciclismo, è in questo periodo che comincia a giocare a rugby, è in questo periodo che si dedica anche al pugilato, pare che abbia un record di 51 vittorie in 52 incontri, viene addirittura selezionato per partecipare alle Olimpiadi di Berlino del 1936, quelle di Jesse Owens, quelle di Ondina Valla, ma anche quelle di Adolf Hitler, ed è proprio “per non trovarmi costretto a stendere il braccio di fronte a Hitler” che Tazieff rinuncia. Invece non rinuncia, durante la Resistenza, a far saltare in aria la stazione di Liegi. Finita la guerra, e laureatosi anche in Geologia, accetta una proposta di lavoro come ingegnere minerario a Katanga, nel Congo belga. Ed è qui che la vita gli esplode. Il primo marzo 1948 nel suo ufficio giunge un telegramma: “Vulcano Kituro entrato in eruzione. Stop. Recarsi sul posto e fare rapporto. Stop”. Il suo battesimo del fuoco.
Tazieff guarda, vede, s’incanta, s’innamora, fotografa, filma. Se da piccolo il suo segno è l’acqua e il suo sogno esplorare i ghiacci, adesso il suo segno è il fuoco e il suo sogno osservare i vulcani. Etna, Stromboli, Nyiragongo in Congo, Fujiyama in Giappone, Ande, Islanda… La scena scientifica internazionale si spacca: Tazieff è un autodidatta. Ed è, lui stesso, per natura, vulcanico. Nel tempo libero si arrampica, gioca a rugby (disputa una partita fra vulcanologi in tute di amianto sull’Etna, fon da una squadra di Old e la battezza Sherpas) e va in bicicletta.
Sulla rete, tra filmati che lo ritraggono sull’Etna o su Stromboli, addirittura dentro i crateri, ce n’è uno (https://www.ina.fr/ina-eclaire-actu/video/cpb7805616501/portrait-d-haroun-tazieff) in cui “l’inghiottitore della lava”, “il vagabondo dei vulcani”, “il poeta del fuoco” va anche in bicicletta, la sua bici da corsa. E racconta la bellezza (e l’importanza) del pedalare. Prima di lui quel ruolo di coordinatore da Monsieur Vélo era stato assegnato all’attore Jean Carmet e allo sciatore Jean-Claude Killy, dopo di lui, Madame Vélo, all’attrice Stéphane Audran. Esplorando, si trova anche un numero della rivista “Vélo”, è il 135 del 1979, Tazieff in copertina, in piedi sui pedali, andatura da “grimpeur”, il servizio s’intitola “Come Tazieff sceglie la buona bicicletta!”. E navigando, si scopre come a Tazieff, in Francia, siano stati dedicati parcheggi di biciclette, licei scientifici con parcheggi di biciclette, vie con parcheggi di biciclette.
Tazieff è morto nel 1998, aveva 84 anni, ed è sepolto nel cimitero di Passy, a Parigi. Sulla sua tomba, un’opera precolombiana. Tazieff, soprattutto da anziano, aveva una bellissima faccia da corridore. E quel fuoco che aveva dentro, non è lo stesso che brucia nei corridori al Giro d’Italia?