Da corridore rischiava la pelle, da allenatore insegna la sicurezza. Da corridore duellava in volata, da allenatore predica in pianura. Da corridore usava i gomiti, da allenatore apre il cuore.
Moreno Di Biase è un vecchio ragazzo, così come lo sono – a prescindere dall’età: la sua, 47 anni – tutti quelli che vivono nello sport, per lo sport, con lo sport. Lui cominciò con il calcio, per fortuna passò al ciclismo: “Fu proprio un colpo di fortuna, anzi, due. Il primo quando vinsi una bicicletta da corsa, un’Atala Campagnolo, a una lotteria. La seconda, la settimana dopo, quando vinsi una Bmx, Molisana, a un gioco dell’oca. Avevo 15 anni. Lasciai il mio posto in campo, cercai di conquistare quello in strada. Mi iscrissi a una squadra di Castel Frentano, partecipai a qualche raduno, poi a due o tre granfondo, finché finalmente esordii nell’agonismo. La prima gara, ad Atri, fui doppiato. Ma dalla seconda ero già davanti, e davanti a tutti c’era Danilo Di Luca. Per vincere, però, dovetti aspettare il secondo anno fra gli juniores, ed ero in squadra con Danilo”.
Abruzzese di Lanciano per nascita e di Fossacesia per famiglia, casa e storia, Moreno si accorse in fretta che le sue possibilità stavano soprattutto nelle volate: “Meglio quelle di un gruppetto che non di un gruppone, più facili da interpretare e gestire, meno avversari da controllare e superare. Da dilettante cominciai alla grande: prima corsa, prima vittoria. In quattro anni ne collezionai altre 10, forse la più bella a Castelfidardo, nel 1996, quella edizione era aperta anche ai professionisti, superai un velocista come Biagio Conte”. Poi nove anni da professionista e 10 vittorie, dalla Malesia al Giappone, dalla Slovenia alla Georgia e al Venezuela, due anche in Italia, una tappa del Giro d’Abruzzo e un’altra al Brixia Tour. “Erano gli anni di SuperMario Cipollini. Si lottava per arrivare secondi. Lui a disposizione aveva un treno, noi eravamo vagoni singoli, conquistare la sua ruota era già un successo, uscirne impossibile”. Fra l’altro, Di Biase disputò cinque Giri d’Italia e un Tour de France: “Era quello del 1999. La decima tappa andava dal Sestiere all’Alpe d’Huez, più di 220 km di salite e discese e salite e discese e salite. Lottai con tutte le mie forze contro il fuori tempo massimo. Per poco, ma ci riuscii. Però non mi erano rimaste più forze. E il giorno dopo, l’undicesima tappa, da Le Bourg d’Oisans a Saint-Etienne, quasi 200 km, mi staccai sul primo cavalcavia”.
Moreno Di Biase custodisce (e trasmette) i suoi ricordi rotondi. Il viale più bello? “Quello di Port Dickson, Giro di Malesia 1999, la mia prima vittoria da professionista, perdipiù davanti a un grande corridore come Andrea Tafi”. Il tornante più duro? “Quelli dell’Alpe d’Huez, da sfinito, stremato, svuotato”. L’avversario più forte? “Cipollini”. La gioia più grande? “L’ultima vittoria conquistata nell’ultima corsa, al Giro di Venezuela 2005. Correvo con la Colombia-Selle Italia di Gianni Savio. Non ebbi ripensamenti. Non cercai neanche una squadra. Avevo deciso di smettere. E smisi”. Dieci anni lontano dal ciclismo. Poi il richiamo della foresta. “Ricominciai con i bambini. Era l’agosto 2016. Scuola, soltanto scuola, promisi a me stesso, e niente più agonismo. Una promessa che durò poco. Fu più forte di me. Lo stesso anno iscrissi i miei bambini a qualche garetta”. Oggi la società di Moreno conta su 15 giovanissimi, sei esordienti e 12 allievi. “E tantissimi progetti nelle scuole, dove continuo la mia opera sulla sicurezza stradale, fra teoria e pratica. Ci sono bambini e bambine che si appassionano e poi entrano nella mia squadra. Strada, mountain bike e pista a Lanciano e ad Avezzano”.
Di Biase è, a suo modo, un missionario: “Voglio restituire tutto il buono del ciclismo che ho ricevuto. Al ciclismo bisogna dare tanto, ma dal ciclismo si può avere tantissimo. La bicicletta insegna a stare bene con se stessi, con gli altri, con la natura, con il mondo. La bicicletta è una fonte di amicizie, esperienze, avventure, una fabbrica di ricordi e racconti, una miniera di sensazioni. I bambini lo riconoscono e lo manifestano. Me ne accorgo quando escono da scuola: prima abbracciano me, poi i genitori”.
Quest’anno il Giro d’Italia partirà proprio da Fossacesia. “Sabato 6 maggio, da Fossacesia Marina a Ortona, una ventina di chilometri lungo la Costa dei Trabocchi, a cronometro. Sarà uno spettacolo. Ci stiamo preparando a questo evento. Tutti: bambini e bambine, ragazzine e ragazzini, genitori, anch’io. Magari organizzando una gimkana. E il mio sogno è legato proprio al Giro: vedere, prima o poi, uno dei miei corridori vincerne una tappa. A me non è riuscito, invece a loro, un giorno, magari a Lorenzo Di Camillo, che adesso corre per una squadra Continental, sì”.