Di anni ne ha già più di 40, ma Domenico Pozzovivo di scendere dalla bici non ne ha voglia e, grazie anche all’aiuto dell’imprenditore Valentino Sciotti, il lucano farà il suo esordio stagionale domani alla Settimana Internazionale Coppi e Bartali con la maglia della Israel Premier Tech. Pozzovivo è il corridore che non si è mai arreso neanche quando nel 2019, dopo il suo terribile incidente, i medici gli avevano detto che non sarebbe mai più tornato in bici. Il ciclista di Policoro, di nascosto era tornato a correre e ancora oggi è uno dei migliori italiani nei grandi giri. Tenace e forte, Pozzovivo ha avuto dei mesi difficili prima di firmare il contratto con la Israel Premier Tech, ma grazie agli amici Bettiol, Nibali e Ulissi che si allenavano con lui, la fiducia e la speranza non si sono mai spente e adesso vuole ripagare tutte le persone che hanno creduto in lui, correndo con convinzione alla ricerca del miglior risultato possibile.
In quale modo ha saputo che la Israel – Premier Tech era interessata a lei?
«E’ stato il mio procuratore, Raimondo Scimone a chiamarmi. Ma qualcosa era arrivata anche da Valentino Sciotti, che con la Fantini Vini è sponsor della Israel – Premier Tech. So che Sciottiha avuto un ruolo determinante in questa vicenda e oggi voglio ringraziarlo per la fiducia che ha deciso di darmi».
Come ha trascorso questi mesi prima della firma del contratto?
«Sono stati mesi veramente difficili, perché ad un certo punto avevo capito che avrei dovuto prendere in considerazione l’idea di dovermi ritirare. Questo mi faceva male, perché non era così che avevo deciso di smettere di correre. Non avevo pensato inizialmente al pericolo di non dover più fare gare e che potevo all’improvviso uscire fuori dal mondo del ciclismo. Se non avessi trovato una squadra, sapevo che avrei dovuto guardare a cosa avevo intorno e a come reinventare in un attimo la mia vita».
In quei mesi si sentiva ancora dentro al mondo del ciclismo?
«Certamente. Ho fatto ritiri e mi sono preparando normalmente con un inizio di stagione programmato per inizio febbraio».
In che modo si è preparato?
«Ho iniziato la mia preparazione a novembre e come al solito mi sono preparato anche facendo dei ritiri, cercando di mettere insieme tanti chilometri e facendo fondo e nell’ultima parte aggiungendo la qualità. Non è stato facile allenarmi perché davanti a me non avevo un orizzonte temporale preciso e mantenere la forma, quando non hai gare in programma, è veramente difficile e frustrante. In allenamento mi confrontavo con gente che poi andava a fare gare e vedevo che avevo un buon livello».
La sua famiglia nel corso degli anni le è sempre stata vicino e anche in questo periodo di attesa non si è mai sentito solo.
«Tutta la mia famiglia è stata fondamentale e in particolare mia moglie è stata preziosa. Sa come prendermi e mi ha assecondato in tutto quello che facevo. A dicembre è venuta con me in Spagna a Tenerife per fare un ritiro, è stata veramente unica, perchè mi aiutato a credere che sarebbe andato tutto bene e che avrei potuto continuare la stagione».
Dalla Spagna è tornato di corsa in Italia per firmare il contratto con la Israel – premier Tech. Come è andata?
«Mi trovavo a Tenerife quando mi hanno chiamato per firmare il contratto. Sono subito rientrato e tra Strade bianche e la Tirreno-Adriatico, sono riuscito a sistemare tutte le questioni burocratiche e a prendere anche il materiale della squadra che per me è veramente fondamentale».
Dopo l’incidente lei ha modificato la sua posizione in corsa, è per questo motivo che aveva urgenza di prendere il nuovo materiale?
«I tanti incidenti che ho avuto mi hanno condizionato nella posizione e in particolare l’’incidente del 2019 mi ha costretto a modificare ulteriormente il mio modo di stare in bici. Per questo il materiale è importantissimo e ho bisogno di tempo per adattarlo al mio corpo».
Le è dispiaciuto non prendere parte alla Tirreno-Adriatico?
«Certamente anche perché avevo lavorato per questo appuntamento e fisicamente ero pronto. Purtroppo abbiamo avuto dei rallentamenti a causa della burocrazia. Fortunatamente adesso sono a pieno titolo un corridore della Israel-Premier Tech e voglio ringraziare la squadra per avermi dato fiducia e sono pronto a far bene il mio lavoro. La Coppi e Bartali sarà la mia prima gara e io certamente non mi nasconderò».
Che tipo di stagione sarà per lei?
«Mi aspetto una stagione di alto livello con un rendimento molto simile a quello dello scorso anno. Non punto solo a degli obiettivi che devono essere concreti, ma so per certo che non voglio andare al di sotto di una certa soglia. Sicuramente so che voglio finire il Giro d’Italia tra i primi 10 corridori».
Ha pensato al programma di tutta la stagione?
«Naturalmente no, con la squadra abbiamo stabilito che dopo la Coppi e Bartali andrò a fare un periodo in altura e poi farò il tour of the Alps prima del Giro».
Che tipo di ripercussioni hanno avuto i vari incidenti sui suoi risultati?
«Cadere in gara può succedere e quasi sempre i danni riportati hanno una durata ben precisa sui tempi di recupero. Purtroppo quando sono stato investito da un’auto nel 2019 è stato veramente faticoso ripartire. Ho dovuto trovare anche forze che non pensavo di avere e ho temuto che la mia carriera sarebbe finita».
Dopo la firma del contratto sono arrivate le congratulazioni da parte dei suoi tifosi. Lei è uno dei corridori più acclamati in gara: che effetto le fa?
«Ho sentito tutto l’affetto delle persono che hanno fatto il tifo per me e io voglio ringraziarli con i risultati. Nei mesi difficili il pubblico ha sempre avuto parole generose per e io non ho intenzione di deludere questa fiducia».
Analizzando tutta la sua carriera, qual è stato il momento più difficile e quello più bello?
«Il momento più bello è stato nel 2012, quando ho vinto la tappa con arrivo a Lago Laceno. Ricordo che era pieno di gente ed erano arrivati tanti miei tifosi, è stato emozionante per me vincere quel giorno. Il momento più difficile invece è stato quando mi sono trovato in ospedale dopo incidente del 2019. Ho rischiato di morire e di perdere un braccio e se sono tornato in sella è solo perché dentro di me la fiamma che arde per il ciclismo non si era spenta e sapevo che non era ancora arrivato il momento di fermarsi».
La famiglia è stata importante e anche il suo procuratore ha avuto un ruolo importante, ma ci sono state altre persone che l’hanno aiutata in questi mesi di attesa?
«Certamente ci sono state delle persone che moralmente mi hanno aiutato tantissimo, si tratta di Diego Ulissi, Vincenzo Nibali e Alberto Bettiol. Quando mi allenavo con loro non mi hanno mai fatto sentire un ex corridore e non mi hanno mai detto perché continuavo ad allenarmi. Al contrario mi hanno sempre fatto sentire un corridore in attività e mai prossimo al ritiro. Veramente sono stati umanamente impagabili».