Il campione del mondo Remco Evenepoel è pronto a partire per l’UAE Tour che scatterà il prossimo 20 febbraio. Durante una visita al quotidiano L’Equipe, Remco Evenepoel ha voluto raccontare alcuni episodi della stagione passata e quelli che saranno i suoi obiettivi per il 2023.
«Ho indossato la maglia di campione del mondo alla Binche-Chimay-Binche ed è stata la mia ultima gara con Iljo Keisse. Quando siamo scesi dall'autobus alla partenza, ho sentito gli occhi su di me e lì ho capito davvero che ero io il campione del mondo. La maglia iridata è magica, per me tutto è cambiato con questo successo. Ho sentito che le persone ora mi vedono come una star e non solo come un corridore».
Il primo grande trionfo del suo 2022, Remco lo ha ottenuto alla Liegi-Bastogna-Liegi, la sua prima Classica Monumento. «Ho vissuto la vittoria a Liegi come il giorno più bello della mia vita da quando corro in bici. Quel giorno ho capito che non bastava solo l’alimentazione e allenarsi nel modo corretto, ma che per vincere bisogna fare tutto nel modo corretto: questo è l’unico modo per diventare un campione».
E ancora: «Non so se in futuro potrò vivere ancora una stagione come questa. Quando penso al 2022 rivivo tutte le lotte che ho dovuto affrontare per arrivare a questo punto e voglio guardare al futuro con la mia squadra. Puntiamo a vincere i grandi giri e, dopo la vittoria alla Vuelta, possiamo dire che siamo ad un passo dagli altri grandi giri».
Quest’anno la sua maglia iridata brillerà al Giro d’Italia e non al Tour de France, perché Lefevere, numero uno della Soudal-Quick Step, ha deciso che per lui Remco affrontare la corsa francese è ancora presto.
«Volevamo correre gli altri due grandi giri prima del Tour de France. Il Tour non è il più difficile in termini di percorso, ma c'è più stress e più pressione. Gli sponsor vogliono che la squadra faccia un buon Tour e tutti vogliono vincere una tappa. Quindi voglio darmi del tempo e poi bisogna considerare anche il livello degli altri membri della squadra che deve essere in ogni caso alto».
Evenepoel giocava a calcio e con l’Anderlecht era bravo, ma il suo carattere polemico spesso si scontrava con gli allenatori, che per farlo ragionare erano costretti a farlo sedere in panchina. Il calcio ha avuto un ruolo importante nella vita di Remco e nel suo correre in bici porta ancora con se’ insegnamenti appresi con il pallone.
«Il mio corpo oggi beneficia ancora molto del mio passato da calciatore. Ad esempio per la stabilità, ho sviluppato muscoli addominali che mi aiutano a mantenere la mia posizione. Prima avevo problemi di flessibilità: quando sono passato dal calcio al ciclismo, ho avuto infortuni all'inguine e all'anca e ho impiegato molto tempo per rimettere tutto a posto, con fisioterapia e allenamento con i pesi. Ho muscoli sviluppati nella parte superiore del corpo, come ai tempi del calcio e sento che c'è ancora molto del calciatore in me».
Remco non ha un carattere facile e la rottura con il calcio è arrivata proprio per i lunghi periodi che doveva passare seduto in panchina e non sul campo di gioco.
«Ho iniziato a giocare a calcio a 4 anni nell'Anderlecht, poi sono partito per il PSV Eindhoven a 11 anni e sono poi tornato all'Anderlecht. Ho sempre dato il 100% per la mia squadra, per la società, per il calcio ed ero capitano, ma venivo messo in panchina o, a volte neanche quello. Chiedevo ai miei allenatori il perché di quelle decisioni e non ho mai avuto una risposta. Mi dicevano sempre: “Sì, va bene, continua così”. Avrai la tua occasione. Sono poi andato a Machelen ma ho provato un profondo disgusto per il calcio. Ho capito quanto male mi avevano fatto, il mio cuore era spezzato, l'Anderlecht era tutto per me. Dopo quel periodo, ho iniziato a cambiare, sono diventato più deciso e quando qualcosa non va ci lavoro sopra, così come ho fatto dopo la caduta al Lombardia».
Nel ciclismo Remco Evenepoel è considerato uno dei corridori più forti e spesso è stato paragonato ad Eddy Merckx, confronto questo che al giovane fiammingo non è mai piaciuto.
«Nessuno potrà mai essere paragonato a Eddy. Tutte le sue vittorie, in un periodo così breve, non potranno più ripetersi, il suo è stato un altro ciclismo. Alla gente piace fare i paragoni, ad esempio c'è Cian Uijtdebroeks (19enne talento belga della Bora-Hansgrohe), che viene già paragonato a me, ma penso che non esistano mai due persone identiche sulla terra».
A Wollongong in Australia c’è stato il passaggio di testimone tra Julian Alaphilippe e Remco, due compagni di squadra che oggi possono condividere l’emozione della maglia iridata. «Io e Julian ci conosciamo e ci appoggiamo a vicenda. Io corro per lui e lui corre per me, senza nessun problema di ruoli».
Il belga ha indossato per la prima volta in questa stagione la sua maglia di campione del mondo alla Vuelta a San Juan, in Argentina, dove ha chiuso al settimo posto assoluto. Il suo modo di correre è unico e spesso le sue vittorie le costruisce da solo, staccandosi dal gruppo seguendo il proprio istinto.
«L'azione decisiva non viene mai misurata, devi solo andare il più veloce possibile. L’esempio più recente è alla Vuelta a San Juan, quando durante una tappa avevo le gambe per andare sul podio. Ho fatto saltare il gruppo ma anche io sono saltato. A Liegi è stato diverso perché quelle strade le conoscevo a memoria e sapevo precisamente cosa fare e quando farlo».
Remco vive in Spagna con la sua Oumaïma, la giovane ragazza di origine marocchina che ha sposato lo scorso ottobre. «In Spagna ci troviamo bene, ci sono professionisti che vengono ad allenarsi spesso e ho corso molto con Greg Van Avermaet e Mathieu van der Poel. Parliamo e il tempo passa più velocemente. Dopo l’incidente al Lombardia ho imparato molto su me stesso e sulle persone che contano veramente per me. Prima della mia caduta non avrei mai fatto un viaggio di due giorni a Parigi per prendermi del tempo libero, ora invece penso che, se ci mettiamo d'accordo, due giorni di calma posso prenderli e che poi riprenderò ad allenarmi. Oggi se qualcuno mi chiede qualcosa, cerco di dargliela e provo ad aprirmi di più alle persone. Prima non mi allenavo mai con un altro corridore: ora, quando faccio allenamenti lunghi, ho scoperto che mi fa piacere stare con altri».