E’ assai difficile, incontrandolo ancora sui campi di gara dell’amato ciclocross che continua a frequentare con sempre fresca passione, credere ai dati obiettivi della sua carta d’identità che propone: Domenico Garbelli, nato a Casalpusterlengo (Lodi) il 31 gennaio 1943, residente ad Almenno San Bartolomeo, all’imbocco della Val Imagna e, soggiunge, dove inizia la salita della Roncola, tradizionale palestra di frotte di ciclisti d’ogni tipo.
Sono ottanta, tondi, tondi, gli anni di questo singolare, unico, verrebbe da dire, personaggio che ha attraversato poco meno di settant’anni di ciclismo, in molteplici declinazioni e ruoli, in varie epoche, sempre di petto, di fronte, a schiena dritta, con il suo parare schietto, senza perifrasi o giri di parole nelle più differenti circostanze del suo ruolo, dapprima di corridore, poi di tecnico (il termine suona un po’ riduttivo nel definirlo), meglio uomo di ciclismo a 360 gradi, attraverso gli anni.
E la grinta, talvolta dura, lo accompagna ancora oggi nel ciclismo e nella vita che affronta sempre con giovanile baldanza e che propone con onestà diretta, anzi, direttissima, senza infingimenti, anche polemicamente, ma sempre con finalità costruttive nella sua visione. E, naturalmente, sempre pronto a ribattere, con vivacità, a eventuali e pure frequenti critiche al suo pensiero.
Già nell’agosto del 2020 tuttobiciweb.it ha proposto un ritratto di Domenico Garbelli (potete rileggerlo qui) ma l’importante compleanno è occasione propizia per integrare e ampliare il precedente elaborato.
Già da ragazzino – era tifoso di Fausto Coppi - si sbizzarrisce in bici, su mezzi assai scassati, aggiunge, divertendosi con i coetanei. Poi, era il 1958, SI tessera quale esordiente. Ed è “messo in bici” correttamente, come precisa, da Luigi Tosi, appassionato di Casalpusterlengo e papà di Angelo Tosi, professionista su strada e nel cross dal 1987 al 1992 che ora vive pure lui nella provincia orobica, con un legame d’amicizia e affetto sempre vivo e riconoscente fra Garbelli e i Tosi. E, finita la stagione della strada, senza soluzione di continuità, ha provato con particolare passione il ciclocross. Intanto, com’era abitudine ai tempi, lavorava alla Samor, azienda di Casalpusterlengo, svolgendo i turni di notte per potersi allenare di giorno, sempre seguito da Luigi Tosi. Nei primissimi anni ’60, si mette in luce nel ciclocross con la maglia del Pedale Casalese Sivam con amici e compagni specialisti di buon livello quali Luigi Torresani, Enrico Sfolcini e altri in un periodo dove il cross era dominato, a livello nazionale, dal grande Renato Longo, “despota gentile” dei sentieri e dei prati, da tutti rispettato e amato per l’innata gentilezza, garbo e sensibilità d’animo. E, sul piano internazionale, ricorda Rolf Wolfshohl, poliedrico tedesco con tre maglie iridate nel cross, vincitore di una Vuelta e pure di gare di rilievo in linea e in pista. Un rimpianto di Garbelli è che, a quei tempi, il ciclocross prevedeva solo una categoria unica ai mondiali. Ci fosse stata una divisione fra professionisti e dilettanti (o under che dir si voglia), le medaglie e i risultati con podio sarebbero stati assai più copiosi e rilevanti per il giovane Garbelli.
Passa alla bresciana Pejo con la figura di riferimento di Gino Riccardi alla guida, insieme a Torresani e Lucio Colzani, poi al Velo Club Como, dove il d.s. è Piero Costa, uno dei fratelli del grande Guido Costa, storico commissario tecnico degli anni d’oro della pista italiana, dal quale apprende molto. In un campionato italiano pista a Forlì, incontra il giovane bergamasco Pietro Algeri che chiede la cortesia a Garbelli di sistemargli il mezzo meccanico cambiando una guarnitura. E’ cosa assai semplice per la multiforme manualità, anche di meccanica ciclistica, di Domenico Garbelli. E scatta una scintilla che diventa un incendio, figurato ovviamente, con Garbelli che diventa direttore sportivo della Selziere Cima, la formazione di Pietro Algeri e dell’allora grande promessa di prospettive poi non avveratesi, il piemontese Corrado Mensa, con sede a Cavenago Brianza, presieduta da patron Pisati, specializzata nella produzione di sifoni per il seltz.
Il rapporto con Pietro Algeri porta Garbelli, oramai d.s. a tempo pieno, a vivere, per quattro anni, a casa Algeri, famiglia di corridori e poi direttori sportivi di Torre de’ Roveri, in provincia di Bergamo. E acquisisce così una sorta di “orobicità” permanente, a tutto campo e a tutto tondo, che mantiene tuttora, che non nasconde, ma rivendica con evidente orgoglio sentendosi pienamente integrato e ammirando – condividendoli - i tratti distintivi della gente bergamasca, sia nella vita, sia nel ciclismo.
Per diciotto anni l’hotel Ventolosa di Villa d’Almè, a una decina di chilometri dal capoluogo, all’imbocco della Val Brembana, è stato la sua residenza e base logistica dei “ritiri” di diverse generazioni di corridori, fruendo delle attente e amichevoli cure della famiglia dei titolari, i Vitali, con Paolo e la sempre premurosa sorella Luigina.
Importante è il periodo in ammiraglia, dopo avere guidato nella seconda metà degli anni ’70 quella della brianzola Lema, della Novartiplast, di Cogliate, azienda nella zona di Saronno, una delle molteplici attività di un appassionato patron quale il bresciano Mario Cioli. E sono molti, e di molto rilievo, i corridori, alcuni dei quali provenienti dalla disciolta Lema, che arricchiscono il palmarès della Novartiplast favorendo sorrisi, spesso frammisti a lacrime di commozione, di Cioli. Dopo un paio d’anni lo raggiunge quale discente d.s., un giovane bergamasco, Olivano Locatelli, col quale Garbelli ha percorso lunghi tratti di carriera, amico ma anche rivale sportivo assai vivace.
Era quello un periodo di grande fermento del ciclismo lombardo con patron appassionati che vivevano la vita della società che sostentavano con costante presenza alle corse. Con Mario Cioli si possono ricordare Alcide Cerato della San Siro, Carletto Passerini dell’omonima Passerini Gomme, Aurelio Messina della Mecair e diversi altri. Dichiariamo l’impossibilità di condensare in uno spazio circoscritto, pure solo per cenni, personaggi (pedalanti o no), corse e atmosfere di quegli anni ciclisticamente “ruggenti” in Lombardia e non solo. Gli annuari ne sono testimoni con la fredda eloquenza dei numeri.
Sollecitato e stimolato nei ricordi Domenico Garbelli cita i nomi dei corridori con i quali intrattiene costanti contatti ribadendo che, nella sua carriera, ha sempre cercato prima di formare l’uomo, magari con i suoi modi diretti, spicci, senza perifrasi e, di pari passo, il corridore. Aggiunge il suo pensiero su quello che è definito “ciclismo moderno”. Si concentra e condensa la sua risposta con due parole, testuali, icastiche, “senza anima”.
E opera poi, assai concentrato nei ricordi, quasi con visibile sofferenza, la selezione citando Pietro e Vittorio Algeri, Alessandro Paganessi, Roberto Ceruti, Alberto Volpi, Valerio Piva, Serge Parsani, Angelo Tosi (anche per rapporti famigliari), Flavio Giupponi, Davide Ballerini, Matteo Malucelli, Bruno Vicino, Umberto Inselvini e Walter Polini (a questi ultimi, ormai scomparsi, dedica un pensiero davvero particolare), nomi conosciuti ai quali aggiunge il giovane lombardo, del magentino, Manuel Todaro, vittima di un gravissimo incidente motociclistico nel 2020 e che, a soli 23 anni, l’ha costretto a lasciare una promettente carriera. Soggiunge che, comunque, ci sono altri vari corridori o addetti ai lavori dei quali serba gradito e costante ricordo, comunque ricambiato.
Confessa, quasi con rimpianto per avere ceduto alla commozione, piangendo addirittura (e per un “duro” come lui è una debolezza), sotto il podio di Utsonomya, ai Mondiali in Giappone quando, era il 1990, il bergamasco Mirco Gualdi salì sul gradino più alto con l’iride indosso nella prova dei dilettanti su strada. Ed è emozionato, ancora oggi, nel ricordare l’inno di Mameli, l’alzabandiera con il tricolore e, a fianco, l’amico Mario Gualdi, zio di Mirco, pure lui già valido dilettante, che sventolava un bandierone italiano.
Per i direttori sportivi non ha difficoltà a riconoscersi nella definizione di “sergente di ferro” e ricorda alcuni di quelli ai quali ritiene d’avere un po’ rubato il mestiere, come si usa dire. Del piemontese Giuseppe Graglia, a lungo d.s. del G.S. Fiat, ricorda l’intelligenza tattica in gara (e non solo), del padovano Severino Rigoni, eccellenza della pista con la S.C. Padovani, la giusta dose di rigore e severità, dal bresciano Gino Riccardi, per tutti il “Mago”, i principi dell’aerodinamica in bici, dell’alimentazione e della metodologia d’allenamento delle famose “ripetute”.
Considera altresì Luciano Pezzi un esempio virtuoso al massimo livello nel ruolo di d.s. a tutto campo.
Fu con Pezzi, all’epoca della Murella-Rossin, che Garbelli, per primo, attrezzò un autocarro magazzino con frigorifero e altre soluzioni di nuovo tipo che Garbelli declina e ascrive alle sue capacità innovative: cita così l’utilizzo del ciclo computer montato sul mezzo, le ricetrasmittenti fra ammiraglia e corridori, il casco integrale, la ruota a disco integrale e la prima mountain bike “made in Italy”.
Un posto particolare nei suoi ricordi Garbelli lo riserva al C.T. romano Elio Rimedio con il quale ha conseguito la qualifica di direttore tecnico regionale alla Scuola Centrale dello Sport di Roma e che voleva trattenerlo nella capitale per formarlo come Maestro dello Sport. Non c’erano però i presupposti, soprattutto economici, ricorda con un certo rimpianto Domenico Garbelli che comunque ha sempre mantenuto vivo e costante il rapporto con Rimedio. In ambito romano F.C.I. ricorda pure l’amicizia con Giuliano Pacciarelli, storico segretario Generale della Federazione.
Un momento importante, importantissimo tiene a porre in evidenza Domenico Garbelli, è il duraturo e proficuo lavoro con ITLA e ICLAS, due formazioni, dove sono cresciuti fior di corridori, un’eccellenza del settore, entrambe nell’orbita dello storico patron Vittorio Ghezzi, della moglie, signora Berenice e i figli Marco e Daniele, munifici sostenitori, con il socio Carlo Inzaghi (ex corridore), delle due ruote in varie forme. E ricorda la collaborazione agli inizi di un preparato e schivo diesse quale Luciano Menecola di Cinisello Balsamo. I nomi dei corridori che hanno gareggiato nelle due formazioni sono di primo rilievo, come facilmente riscontrabile negli annuari. E’ il nocciolo duro che ha costituito poi la GBC-ITLA professionistica nel 1977 con Garbelli e molti suoi “poulain” condividendo l’ammiraglia con Dino Zandegù.
Segue poi la Murella-Rossin nel 1984. L’attività quale costruttore di bici veramente innovative con l’amico e socio Mario Rossin, appunto con il pregiato marchio Rossin, a Cavenago Brianza, l’attività commerciale, le diverse innovazioni tecniche e tecnologiche messe a punto e poi adottate da molti, gli amici del settore costruttori, e altro ancora sono già stati ricordati nel precedente articolo riproposto. Garbelli giudica di rilievo particolar le soluzioni a manubrio rovesciato con ruota del 24”, poi del 26” e per supèrare una normativa UCI limitativa in materia, saldando direttamente il manubrio sulla testa-forcella, principio utilizzato anche dal russo Vjaceslav Ekimov nel suo record dell’ora su pista coperta di Mosca.
Non rifugge dalla polemica – costruttiva comunque –, anche recentissima, grazie anche alla sua abilità nell’utilizzo dei social, sulla preparazione specifica delle soluzioni sperimentate e collaudate che giungono dal passato, atte a rendere al meglio sui fondi dei tracciati, anche i più disagevoli, del ciclocross, ignorate da molti che poi si lamentano.
E, in fatto di polemiche, abbondano quelle con Angelo Francini, altro bergamasco d’adozione, soprattutto su varie norme federali ma, seppure vivaci, con presupposti d’amicizia e collaborazione. E in tema orobico tiene a ricordare Gianni Sommariva, un volano costante e competente dell’attività del ciclismo bergamasco declinato al passato più o meno recente.
Al termine del colloquio, senza appunti scritti, senza un ordine precostituito, con i suoi chiari occhi scrutatori che ti punta in faccia, ricorda la sua attuale mansione di collaboratore tecnico della S.C. Valle Seriana-Cene, centro di particolare passione per il ciclismo dei giovani, dove segue, sovente in ammiraglia con il d.s. Marco Bazzana, gli allenamenti degli “under 23” che trovano accoglienza e assistenza in questa formazione quando non riescono ad accasarsi altrove. E s’impegna anche qui, con pari entusiasmo, come quando trattava campioni.
Cos’è la pensione, istituto che Garbelli rifiuta per principio affrontando gli ottant’anni con lo spirito di un ventenne, a petto in fuori e schiena diritta contro tutte le avversità, pronto sempre a combattere e a pedalare ovunque.
In conclusione tanti auguri, così, semplicemente. A lui non piacciono i panegirici. E a questi auguri si uniranno sicuramente quelli degli amici e pure di qualche “nemico”, in senso sportivo, naturalmente.