Il corridore più spettacolare del Giro d’Italia è stato Mathieu Van der Poel. L’olandese figlio e nipote d’arte, che ancora prima di camminare aveva imparato ad andare in bici, ha dimostrato di essere un corridore fuori dal comune, un autentico fuoriclasse, un talento capace di trasformare ogni corsa in un evento appassionante.
Al suo primo Giro d’Italia, l’olandese era venuto in Italia con l’obiettivo di puntare alle tappe, indossare, anche solo per un giorno, la maglia rosa e testarsi sulle tre settimane di corsa.
Lo scorso anno al Tour de France Van der Poel si era vestito di giallo, lo aveva fatto guardando il cielo e immaginando la gioia del nonno Raymond Poulidor, scomparso da poco, che nonostante le vittorie conquistate alla Grande Boucle non era mai riuscito a indossare il simbolo della corsa. In quel Tour però Mathieu aveva salutato la compagnia dopo poche giornate per inseguire il sogno olimpico nel cross country, sogno che sarebbe poi stato spezzato da una incredibile disattenzione al primo salto della gara.
Al Giro, Van der Poel ha centrato il suo doppio obiettivo già alla prima tappa: spettacolare azione sullo strappo finale della prima tappa a Visegrad, vittoria davanti a Girmay e maglia rosa sulle spalle!
Così il ragazzo olandese che vive in Belgio, dopo essere stato il padrone della maglia gialla del Tour per sei giorni, ha indossato la rosa per tre tappe prima di consegnarla sull’Etna allo spagnolo Lopez.
Il campione della Alpecin Fenix era arrivato in Ungheria con tante incertezze, non tanto per le due prime settimane di corsa quanto per le difficoltà della terza, dove avrebbe dovuto fare i conti con le Alpi.
«Quello che vivremo sulle Dolomiti, non l’ho mai vissuto - aveva dichiarato a Budapest l’olandese -. Non ho mai avuto a che fare con i grandi passi italiani e non so come saprò gestirli. Sarà un grande punto interrogativo per me. Mi avvicino a questa gara sapendo che sarà una nuova esperienza nella mia carriera, un modo per poter progredire».
Mathieu non è corridore che si accontenta e, dopo aver conquistato la maglia rosa, ha sfiorato il successo anche nella cronometro di Budapest, battuto di un soffio dal sorprendente britannico Simon Yates.
Al termine di quella crono l’olandese ha capito di poter portare la maglia rosa in Sicilia, dove poi l’ha ceduta a Lopez ma il suo Giro non è certo finito lì perché un corridore come lui ha lo spettacolo nel sangue, il sacro fuoco di chi in bicicletta pensa soprattutto a divertirsi.
Sin dall’inverno, quando aveva annunciato la sua intenzione di partecipare al Giro, Van der Poel ha sempre detto che la sua intenzione era quella di arrivare a Verona e così ha fatto, senza incertezze, così come ha già detto ci voler arrivare sugli Champs-Élysées con l’obiettivo di portare a termine due grandi giri nello stesso anno.
Van der Poel con l’Italia ha un rapporto speciale. Il suo amore per il Giro è nato nel 2017, quando in televisione seguì tutta l’edizione della corsa vinta dal suo connazionale Tom Dumoulin, convincendosi che quella era la gara più bella di tutte.
Il signore delle Classiche, in questo Giro ha dato spettacolo proprio in quelle frazioni che per alcuni aspetti ricordavano le corse di un giorno e che nel suo palmares appaiono diverse volte.
Il successo nella tappa inagurale di Visegrad è arrivato in una tappa che, come scenario, ricordava molto le foreste tipiche delle Ardenne. Poi c’è stato il secondo posto di Jesi, in una tappa davvero “da classiche’ che è diventata anche una frazione storica, perché la vittoria è andata a Biniam Girmay, il primo africano di colore a vincere in un grande giro. Quel giorno a Jesi gli occhi erano puntati tutti sul duello tra il ventiduenne eritreo, astro nascente del ciclismo mondiale, e sull’olandese: quando Girmay gli è passato davanti, superandolo nel tesissimo testa a testa finale, Mathieu ha alzato il pollice, ammettendo che Bini era stato il più forte a vincere la corsa e rendendogli onore.
In questo Giro Van der Poel ha voluto dimostrare che lui, già campione di ciclocross e mountain bike, nelle corse su strada sa vincere e attaccare su diversi terreni. Lo ha fatto nelle tappe ondulate, si è messo in mostra nelle prove a cronometro (concluse una al secondo e una al terzo posto), ma non contento ha deciso di dare spettacolo anche in montagna, proprio su quelle salite dove nessuno avrebbe pensato di vederlo. Spesso l’olandese è entrato nelle fughe e per molti chilometri lo abbiamo visto resistere, anzi è sempre stato l’uomo che ha dato maggior contributo alle azioni pur sapendo che con il suo fisico possente sulle lunghe salite alpine avrebbe pagato dazio e sarebbe stato poi costretto a perdere contatto.
«In realtà in salita mi sono sentito bene. È andata meglio di quello che avrei immaginato, in particolare quando il tempo non è stato dei migliori e le temperature si sono abbassate. Preferisco correre con un po’ di pioggia e quando l’abbiamo trovata lungo il percorso mi sono sentito meglio» ha spiegato nella terza settimana, dopo aver affrontato un Giro che per la quasi totalità si è disputato con il sole e con temperature al di sopra della media del mese di maggio.
Il Giro d’Italia è stato archiviato e nel mirino dell’olandese adesso c’è il Tour de France. La corsa rosa ha aiutato Van der Poel a comprendere i suoi limiti e a gestire le sue difficoltà, ma Mathieu non si considera un corridore capace di vincere un grande giro, per lui il divertimento rimane nelle sfide e nel potersi confrontare con avversari forti, con i quali deve usare classe e astuzia per poterli sorprendere e tagliare per primo il traguardo.
«Non sono un corridore che può aspirare alla vittoria finale di un grande giro. Posso dire però che arrivato alla terza settimana di gara mi sentivo ancora bene e che la fatica, che si era fatta sentire, con il passare dei giorni è scemata. Sulle grandi salite forse sono stato troppo ottimista e devo imparare a gestirmi meglio. Però il mio bilancio è positivo: penso che l’esperienza accumulata in questo Giro mi tornerà utile per il prossimo Tour de France, la mia nuova sfida».