Ennio Doris e il ciclismo. Banca Mediolanum e il Giro d'Italia. Un amore sconfinato, quello del fondatore di Mediolanum per il mondo della bicicletta, tradotto poi in una delle sponsorizzazioni più fiorenti della Corsa Rosa. Oggi al teatro degli Arcimboldi di Milano va in scena "C'è anche domani", una serata-evento che si compone di una quadrupla celebrazione: il quarantennale di Banca Mediolanum; il ventennale della sponsorizzazione del Giro da parte di Mediolanum (e nel 2012 Doris cambiò il colore della maglia del miglior scalatore da verde ad azzurro; la presentazione ufficiale della speciale maglia azzurra dei GPM del Giro 2022; e l'ingresso di Gianni Motta, vincitore di un Giro d'Italia e di un Lombardia con la mitica Molteni, nella Hall of Fame del ciclismo italiano.
"C'è anche domani" è un titolo che rimanda direttamente alla vita di Ennio Doris, scomparso il 24 novembre scorso all'età di 81 anni. Quella era infatti la frase che papà Alberto disse a un piccolo Ennio nel maggio del 1953, per consolare il figlio per la tappa di Bolzano "fallita" dal loro grande idolo Fausto Coppi. L'indomani Coppi compì l'impresa sullo Stelvio, soffiando a Hugo Koblet la maglia rosa e confermando a Ennio Doris che sì, c'è sempre un domani. Un mantra che l'avrebbe sempre accompagnato nella sua vita, lavorativa e non, all'insegna del futuro e dell'ottimismo.
Barbara Pedrotti e Jury Chechi sono stati i presentatori sul palco degli Arcimboldi: qui di seguito tutti gli interventi
Paolo Bellino, amministratore di RCS Sport: «Giro sempre più rilevante a livello internazionale, ormai viene trasmesso in oltre 200 Paesi. Cresciuto tantissimo il ciclismo e con esso il Giro. Vent'anni di Mediolanum? Non è solo uno sponsor, ma un pezzo di famiglia, parte del dna di questa corsa. Il rapporto e le attività con la Banca di Ennio Doris hanno permesso alla corsa nel Paese più bello del mondo di crescere sempre più. Il ciclismo e il Giro sono un film che, dalle generazioni dei nostri padri, dal racconto dell'epopea della bicicletta, si ritrova oggi nella maglia azzurra e nel Giro d'Italia.»
Alessandra De Stefano, direttrice di Rai Sport: «Giro è un suono e soprattutto un ricordo, per tutti. In questi anni mi sono fermata spesso a bordo strada per veder passare il gruppo. In quei momenti nascono le tue aspettative, qualcosa che ti lega in maniera viscerale al ciclismo. Non ci arrivi mai per caso al ciclismo, ti ci porta sempre qualcuno. E resterai malato a vita. Come accadde a me con mio papà. Questo sport è parte della cultura italiana, e sarebbe bello che a scuola i ragazzi imparassero a memoria i nomi dei campioni della bici di ieri e di oggi. Bartali e Coppi dovrebbero stare nei libri di storia.»
Massimo Doris, erede di Ennio e presidente di Banca Mediolanum: «L'idea di entrare al Giro fu in primis dell'allora direttore marketing, che ebbe l'idea di entrare nel ciclismo in quanto sport che va direttamente dalla gente. E ideò tantissimi eventi che hanno luogo durante la corsa, come le biciclettate dei nostri clienti insieme ai campioni del ciclismo. Campioni che sono anche con noi qui stasera, da Motta a Bettini. E il ciclismo, come il lavoro, presenta alti e bassi, ma soprattutto quando si cade presenta sempre l'opportunità di risalire. Sofferenza, ma anche opportunità da cogliere. Mio papà affrontava le difficoltà con molta serenità, non perdeva più di qualche minuto a lamentarsi del problema: andava subito ad analizzarlo ed era velocissimo a trovare la soluzione. E non si fermava lì: cercava subito di volgere la difficoltà a suo favore. Rendere un problema una fortuna. "C'è anche domani", che troveremo sulla maglia azzurra del Giro 2022, è un insegnamento che ho imparato e continuo a migliorare, e che cerco di passare a tutta Banca Mediolanum. L'ottimismo di papà Ennio era parecchio legato all'aneddoto di Coppi del 1953, quella frase di mio nonno Alberto. Quando fondò Mediolanum, aveva in mente un istituto bancario che potesse realmente assistere il cliente, aiutandolo a coprirsi e investire. E inventò il family banker. Sapeva vedere ciò che ancora non esisteva ed era attento alle persone.»
Alessandro Ballan, uno dei campioni testimonial di Mediolanum: «Inizio il mio sesto anno con la banca della famiglia Doris, che ringrazio. Il cavallo di battaglia di Mediolanum al Giro è la pedalata, quella al mattino più leggera e quella più tosta sul finale del percorso di tappa. Siamo io, Paolo Bettini, Maurizio Fondriest, Francesco Moser e Gianni Motta. Poter indossare la maglia azzurra e fare dei chilometri insieme a noi è sempre una forte emozione per i clienti, che fanno da preludio all'arrivo dei corridori in gara. E stiamo insieme ai clienti nelle aree hospitality, seguendo insieme la corsa.»
Collegamento con Vincenzo Nibali, reduce dalla prima tappa della Valenciana: «Vincere il Giro d'Italia per un italiano è un sogno che si realizza e trasmette tantissime gioie ed emozioni, mette insieme tante gioie difficili da descrivere. Ritiro? Vedremo eventualmente a fine anno, andare fino alle Olimpiadi del 2024 non lo so. Di sicuro Rio 2016 mi ha lasciato tanto amaro... Tre nomi per il Giro? Come Astana verremo con un grande team, Lopez può far bene. Geoghegan Hart è uno che potrebbe tentare la doppietta, ma ci potranno essere sorprese.»
Urbano Cairo, presidente del gruppo RCS: «Ennio e io abbiamo avuto un'origine comune, quella di essere entrati in contatto con Silvio Berlusconi a inizio anni Ottanta dopo la famosa intervista del Cavaliere a Capital in cui invitava giovani intraprendenti a presentargli i propri progetti. Io ed Ennio lo facemmo. Lui mi colpì fortemente quando comprava anziché vendere nei periodi difficili. E poi non parlava mai male di qualcuno! Il ricordo che mi lega maggiormente a Ennio è una grandiosa crociera che organizzò coi più bravi di Programma Italia, la sua società di allora. In quei tre giorni fui travolto dall'ondata di positività che sapeva irradiare. Per noi avere da vent'anni Mediolanum come sponsor è stato un grande traino per tante aziende che, prendendo esempio da un visionario come Doris, hanno capito che investire nel ciclismo è una scelta vincente.»
Il nostro direttore Pier Augusto Stagi: «Ennio Doris, con cui ho scritto quattro libri, era davvero un campione di memoria, ricordo quando mi corresse, e aveva ragione lui, sul distacco di un secondo in classifica di una tappa del Giro... Era un uomo che amava entrare nel soggetto, nella persona, nello spirito di Fausto Coppi ma anche di Gino Bartali, che ha voluto onorare nel libro Coppiebartali, dedicato alla sua famiglia e a tutti gli italiani: lì racconta l'Italia attraverso la storia dei due fuoriclasse. In più di un'occasione mi sono ritrovato a sognare grazie a Ennio e i suoi racconti. E non aveva il timore dell'emozione: emozionava le persone e sapeva emozionarsi, tante volte l'ho visto con gli occhi lucidi e mi sono commosso insieme a lui. Un ricordo su tutti: dieci giorni prima che ci lasciasse, ci sentimmo e lui mi chiese come fosse il percorso del prossimo Giro, io gli dissi che tra le montagne c'era il Pordoi. E lui: "La nostra montagna"...»
Pier Bergonzi, vice-direttore della Gazzetta dello Sport: «Quando veniva nella nostra redazione, amava metterci alla prova facendoci quiz su dettagli ciclistici. Io sapevo di sapere tutto di Coppi e Bartali, ma lui ne sapeva almeno quanto me. Aveva un gusto per raccontare le storie come se il ciclismo fosse un grande romanzo popolare. Era un uomo curioso, empatico, che ispirava fiducia: ha fatto tanto per la cultura del ciclismo. "C'è anche un domani" è fondamentale nello sport: è la rimonta con cui Nadal ha appena vinto gli Australian Open, è la crono di Verona di Moser dopo che quel Giro l'aveva praticamente perso...»
Francesco Moser, anch'egli testimonial di Mediolanum: «Ricordo quando vedevo Doris e si ricordava tutta la storia del Giro. Del resto, Ennio era cresciuto con futuro campione del mondo come Giuseppe Beghetto. Gregario? L'ho fatto tanto in carriera, altroché...»
Arnoldo Mosca Mondadori: «La luce nei suoi occhi, l'umiltà, la fede in Gesù che ci accomunava. Queste sono le qualità che associo immediatamente a Ennio Doris. Fin da piccolo ho sempre sentito nel cuore la dolcezza dell'Eucaristia, e negli anni mi sono sempre chiesto come si potesse comunicare la meraviglia del Signore. Finché un giorno ho sentito dentro me una voce che mi ha detto "Fai fare le ostie ai carcerati e fagliele portare al Santo Padre" così andai al carcere di Opera, dove aprimmo un laboratorio con persone che avevano commesso reati gravi, ma erano sinceramente pentite. Coinvolsi Ennio nel progetto, e grazie a lui, nel silenzio, sta avvenendo una testimonianza evangelica a cui lui teneva tanto. Siamo arrivati ai Paesi rurali in Africa e in tutto il mondo. "C'è anche domani" significa anche che domani ci sarà la resurrezione, Ennio ora ha già incontrato il Signore e noi al Papa porteremo i frutti del desiderio e del sogno di Ennio.»
Gianni Motta, che entra nella Hall of Fame: «Ho avuto la fortuna di collaborare con Mediolanum e Giro d'Italia per un ventennio, quando siamo partiti col progetto eravamo quattro tavoli, adesso settanta tavoli da otto. Abbiamo lavorato bene e fa piacere far parte di questa famiglia, i Doris lo sanno bene: quando Ennio arrivava io mi mettevo da parte per non "rompere le scatole". Non mi sono mai avvicinato per primo, volevo che prima lo salutassero gli altri. Ma bastava un cenno d'amicizia con la testa. Me lo vedo ancora, bello alto vestito color carta da zucchero. Quando ho saputo che non stava bene, ogni giorno ci sentivamo un paio di volte al giorno, tramite messaggi. Sempre per non essere invadente. Dovunque andassi gli mandavo della foto, "guarda un po' in che bel posto mi trovo", immaginandomi di portarlo all'Adda a mangiare insieme un panino un giorno. Non cancellerò mai tutti quei messaggi. Un mattino gli dico "Oggi ho preso freddo, ma domani di sicuro starò meglio" e lui mi risponde proprio con la frase "C'è anche domani". Solo il giorno prima di volare in paradiso non mi ha risposto. Solo due-tre giorni dopo, chissà se qualcuno l'ha letto, mi sono rassegnato a scrivergli "Ennio, ora non si può più". La mia famiglia era originaria del Piemonte, del paese sopra a dove abita Ganna, poi sono venuti a Milano sfollati dopo la guerra. Io ho fatto tantissimi lavori, compreso il ciabattino. I miei genitori lavoravano alla Motta, io mi pagai la prima Atala suonando la fisarmonica ai matrimoni. Finché Santini non mi porta da Ernesto Colnago: la fortuna di incontrare la persona giusta al momento giusto. E il bello di credere alle persone che ti consigliano bene. Quando correvo dilettante per la Faema, Ernesto mi portò alla Molteni: vinsi tanto nelle categorie giovanili, e ricordo ancora che quando vinsi la mia prima cronometro non ci credevo neppure. Ero rientrato in albergo! Il Giro del '66 partì da Montecarlo, Anquetil perse subito 3 minuti ma c'erano tanti altri corridori di rilievo. Sentivo di andar bene, ma finché non eravamo a Trieste non si poteva essere sicuri. Feci tesoro dell'errore fatto a un precedente Tour de France, mi costruii la vittoria soprattutto non perdendo minuti. Devo dire grazie a Ernesto e al diesse Albani, anche perché in una tappa di Chianciano Adorni e Jimenez indovinarono la fuga e io rischiai di uscire di classifica: dall'ammiraglia richiamarono Altig per tirare e aiutarmi a riprendere gli altri. La maglia rosa poi la conquistai togliendola a Vittorio Adorni, con cui ci siamo sempre voluti bene. Prima della Arona-Maddalena andò come avevo pronosticato al mattino: Jimenez attaccò, io aspettai e lo lasciai andare, dopodiché gestii bene tutti gli altri. Fondamentale però fu il Vetriolo: mi ero fatto spiegare la salita chilometro per chilometro dalla mia futura moglie, all'epoca fidanzata. Lasciai anche lì partire Jimenez, per staccare tutti gli altri a 5 km dall'arrivo, andare a prendere Julio, evitare di partire mentre lui beveva, e poi giocarcela (e vincere) in volata. Io ho stima di tutti i corridori: tendenzialmente è una brava persona, abituata al sacrificio.»
Vittorio Adorni: «Io vinsi la crono di Parma a 49 km/h di media, ma poi andai in crisi a Brescia. Non si può mica essere sempre al massimo della forma! Gianni non aveva problemi, al massimo se li creava nella sua testa, aveva spesso paura. Ma era un gran corridore e si prese meritatamente quel trionfo. Ai Mondiali di Imola '68 mi diede una grossa mano? Io ero davanti, non lo so mica questo.»
Ernesto Colnago, il maestro: «Alla mia età, essere qua a parlare con Gianni Motta mi ringiovanisce (fra una settimana esatta compirà 90 anni, ndr). Non mi feci pagare subito la bici da Gianni, gli diedi fiducia e nacque un amore ciclistico: era un purosangue, poteva vincere di più ma ancora oggi, dopo che io ho passato oltre mille corridori, dico che di Motta ce n'è uno.»
Mauro Vegni, direttore della Corsa Rosa: «La maglia azzurra, dopo quella rosa, è la maglia più importante. Le grandi imprese in salita hanno un significato importantissimo per gli appassionati di ciclismo. E siamo veramente contenti di accogliere Gianni nella Hall of Fame »