«Nessuno sport come il ciclismo può esprimere valori culturali e identitari così grandi»
Così Paola Abbiezzi, direttrice del master Comunicare lo Sport dell'Università Cattolica di Milano, introduce nell'aula G142 del prestigioso ateneo milanese la conferenza "Volate e inseguimenti, dialogo con due ori olimpici" nella quale, insieme ai prof. Paola Vago e Giorgio Simonelli, al capo del marketing di RCS Sport Roberto Salamini (quest'ultimo in collegamento) e alla responsabile comunicazione di Cofidis Giulia Garlando, un trio d'eccezione come quello composto da Elia Viviani, Simone Consonni e il diesse Roberto Damiani racconta agli studenti la propria esperienza di ciclismo, di sport, di vita.
«Mi sono innamorato del ciclismo da bambino, mi affascinava il fatto che fosse individuale - confessa Elia -: se vinci è soddisfazione personale, non è da condividere come nel calcio e altre discipline di squadra. Poi maturi e apprezzi altri aspetti, come il fatto di girare il mondo e conoscere ogni angolo dei Paesi dove corri. Il luogo della vita? Il Giro d'Italia. Tutto. Poi ovvio, ci sono posti del cuore, come per me l'arrivo del Giro a Verona. Scendere dal bus e vedere tutti i tifosi lì per noi è davvero qualcosa di speciale. La volata? Quella è solo la fine della corsa, dove ti giochi tutto è vero, però come arrivi lì dipende da tutto il lavoro precedente, fin dall'analisi del percorso passando per tutta la condotta di gara del leader e dei compagni. Le Olimpiadi? Ti permettono di ergerti sullo stesso livello degli sport più blasonati, perché la medaglia d'oro che vinci è uguale a quella di un Neymar. Abbiamo portato questo sport a un livello superiore e ora lavoriamo duro per mantenerlo. Ciclismo e comunicazione? La squadra è comunicazione, oggi viviamo di sponsorizzazione e noi corridori siamo comunque parte dell'azienda. Peraltro Cofidis sta puntando ora anche sul femminile, che renderà squadra e brand ancora più visibile. I ciclisti non vivono di diritti d'immagine o tv, ma di sponsor e quindi di comunicazione! Se non avessi fatto il ciclista? Dato che capisci solo a 20 anni se lo puoi fare davvero come professioni, nel caso puoi lavorare nel mondo dello sport. Il mio idolo da ragazzino? Marco Pantani. I social? Uno dei maggiori cambiamenti degli ultimi anni. Alla gente piaceva vedere l'atleta non atleta, quello che fai nella vita normale. Questo all'inizio, però. Oggi l'atleta indirizza il suo profilo sul comunicare via social la propria attività sportiva, e questo ha successo oggi.»
«Dai 6 ai 12 anni non mi rendevo conto di cosa fosse il ciclismo, lo facevo giusto per divertimento - aggiunge Simone -. Peraltro vivevo in un paesino dove non si usciva quasi mai dal circondario. Poi da juniores ho partecipato a un campionato del mondo in Russia, e ho capito quanto fosse un privilegio per me poter conoscere il mondo. Cosa mi emoziona dell'inseguimento a squadre? Il fatto che sei in 4 e devi pensare sì a te stesso ma in particolar modo a mettere i compagni nelle migliori condizioni, anche il più debole. Si vince e si perde insieme, e questo comporta un pizzico di paura in più perché se sbagli porti l'intera nazionale e i tuoi compagni/amici a sbagliare. Come ci siamo accorti che avevamo vinto? Ho alzato lo sguardo e ho visto la scritta World Record! La Danimarca ha un po' mollato all'ultimo giro? No, siamo andati più forti noi... la pista più bella del mondo? Londra. Dove peraltro vinsi una 6 giorni con Elia, primi italiani a farlo. Questo 2021 è stato incredibile per lo sport azzurro, a partire dagli Europei di calcio che ci hanno dato una spinta particolare quando siamo partiti per Tokyo. Le medaglie di Tamberi e Jacobs? Come se avessimo vinto anche noi, accomunati dal desiderio di portare in alto la bandiera italiana. Se non avessi fatto il ciclista di professione, mi sarebbe piaciuto molto fare il cuoco. Il mio idolo? Non ho miti, da ragazzino non seguivo il ciclismo. Non ho mai visto una gara di Pantani, ad esempio»
Viviani e Consonni continuano raccontando a turno, come in una staffetta, tutte le fasi delle loro specialità su pista: regolamento dell'omnium, meccanismi della corsa a inseguimento
Simonelli e Salamini descrivono e ricordano ampiamente il contributo che il ciclismo ha dato, ieri e oggi, alla comunicazione di questo sport nei media, dall'introduzione pionieristica delle sponsorizzazioni dalla metà del secolo scorso e all'invenzione del talk show di Sergio Zavoli fino alle forme più contemporanee: copertura televisiva profonda, lingua inglese come must, racconto multimediale e approdo sulle piattaforme più giovani, valorizzazione delle storie e dei personaggi.
E una magnifica riflessione: il ciclismo cambia la geografia. Rende celebri, simbolici, immortali, leggendari, anche quelli che altrimenti sarebbero piccoli centri come tanti altri o passi di montagna importanti sì, ma come altri. Vedi Roubaix o Mortirolo.
La Garlando poi offre una panoramica di cosa voglia dire sponsorizzare un team del World Tour: preparazione agli eventi, coordinazione tra parte azienda e parte sportiva senza "invadere il campo", rapporti con testimonial e top client...
Un'infarinatura eccezionale per i ragazzi del Master, che si stanno preparando per lavorare nello sport!
Conclude il diesse Damiani, colui che ha dato un input preziosissimo all'organizzazione di questo evento: «Se il ciclismo vuole toccare tutti gli ambiti sociali, lo sport deve andare oltre la pura passione ed evolversi. Altro che ogni decennio, ormai il ciclismo cambia ogni anno! Anche il mio ruolo è cambiato: prima il direttore sportivo era padre padrone della squadra, oggi deve comunicare in maniera differente con gli atleti, con lo staff e con l'esterno, e ci dev'essere feeling e rispetto tra i vari direttori del team. E se portiamo il ciclismo in università è perché Elia e Simone conoscono bene l'importanza del comunicare efficacemente lo sport: il ciclismo è una bellissima Ferrari dove per ora stiamo mettendo solo 10 euro di benzina. Viviamo di individualità straordinarie, da corridori come Elia a direttori come Villa, ma tutti noi italiani abbiamo una parte di responsabilità. Ci vogliono nuove figure, che magari non conoscono per forza a menadito il ciclismo, ma che sanno parlare da manager coi grandi manager. E quando una squadra decide di ingaggiare un corridore, un po' guarda anche il suo "valore mediatico"»
All'evento ha partecipato anche il collega della Gazzetta dello Sport Luca Gialanella, che ha fornito ai ragazzi la propria testimonianza sul mestiere del giornalista ciclistico e non solo. Gialanella ha chiosato con un'accuratissima disamina sullo stato dell'arte del movimento italiano, tra mancanza di una squadra nel World Tour e difficoltà economiche, a fronte della ricchezza dei vivai e della quantità di corridori emergenti sia nel maschile che nel femminile. Con un accenno finale sulle novità della bicicletta che si stanno affacciando.
La conferenza è stata organizzata dal Master grazie anche al contributo dell'ente universitario Cattolica per lo Sport.