L'abbiamo visto in fuga, l'abbiamo visto all'attacco, l'abbiamo visto all'inseguimento... e l'abbiamo visto trionfare a Bagno di Romagna nella 12^ tappa, sua prima vittoria al Giro d'Italia, resistendo al Passo del Carnaio e salutando Bennett e Brambilla e infine Hamilton. Lui è Andrea Vendrame, 27 anni ancora da compiere, autentico combattente dell'Ag2r Citroen che dopo il grave incidente del 2016, l'aggressione subita lo scorso dicembre e la recente caduta alla Settimana Coppi e Bartali, ha potuto alzare le braccia al cielo e coronare il sogno di una vita.
Vendramix, come si soprannomina dagli anni giovanili in Marchiol e Zalf per un'idea del diesse Marco Zen. O Joker, come fu ribattezzato dal suo agente Alex Carera e dal nostro direttore Pier Augusto Stagi per l'intervista-copertina del magazine TuttoBici di Febbraio 2020, alle porte della sua prima stagione nel World Tour dopo la gavetta professionistica in Androni Sidermec: il "cattivo di Batman" è uno dei personaggi in cui il corridore trevigiano s'immedesima maggiormente, per la storia, il carattere e i segni che riporta sul volto post-incidente.
Abbiamo raggiunto telefonicamente Vendrame per farci raccontare tutte le sue sensazioni:
Andrea, due anni fa la beffa di San Martino di Castrozza, quando arrivasti 2° nella terzultima tappa del Giro 2019 per colpa di un doppio salto di catena. Stavolta nulla ti ha potuto impedire di mettere in bacheca un successo alla Corsa Rosa!
«E non era scontato! Ogni corsa ha le sue incognite, dalla mattina all'arrivo, finché non metti il muso davanti alla linea non sei sicuro. Quella tappa me l'ero segnata, ne avevo parlato col mio mental coach ed era una delle poche che avevo puntato per concretizzare tutto il lavoro e le energie. Nei primi 50 chilometri fu un casino, poi finalmente siamo riusciti a portare via la fuga. Ero insieme al mio compagno Geoffrey Bouchard, in maglia azzurra, quindi avevamo due obiettivi: fargli prendere più punti possibile ai Gran Premi della Montagna e poi io andarmi a prendere la tappa. È stato molto difficile, ho fatto due gare in una: prima a tirare per Bouchard, poi quando lui ha perso la ruota ho continuato sul mio passo e ho provato qualche allungo in salita per testare quanta batteria residua avessimo io e gli altri del gruppetto di testa, corridori "pericolosi" come Ulissi, Visconti, Bennett, Brambilla... sul Passo del Carnaio Bennett è partito e io ho contrattaccato per guadagnare un 10-15 secondi. Così poi sarei stato ripreso ma almeno sarei rimasto davanti e sarebbe stato difficile perdere. E infatti, nella discesa finale ci siamo trovati lui, io, Brambilla e Hamilton: andavamo fortissimo e nessuno attaccava, anche perché, come dimostravano le cadute a inizio gara (De Marchi, Soler e parecchi altri) bastava il minimo errore per andar giù. Negli ultimi 3 chilometri in piano, Hamilton è scattato in anticipo, gli altri due si guardavano e io allora non ho aspettato: mi sono riportato sotto l'australiano, eravamo entrambi a tutta. Ho tirato dritto fino ai 1200 metri dall'arrivo, lui si è messo davanti per rallentare un po' il ritmo, ma io che sono abituato anche a volate di gruppo l'ho amministrata: mi sono portato sulla sinistra e ai 300 metri ho fatto la mia volata. Nessuno mi è sbucato e io ho realizzato un sogno!»
Cosa è passato nella tua mente quando hai tagliato il fatidico traguardo di Bagno di Romagna e nei momenti immediatamente successivi?
«Tagliando il traguardo si è creato come un vuoto sulla mia testa. Una volta arrivato sono accorsi i massaggiatori che mi dicevano "Guarda che hai vinto". Poi la gente attorno, le telecamere e quant'altro. Lì ho realizzato che avevo vinto e ho pensato a tutti i sacrifici fatti: l'allenamento, lo studio delle tappe e delle strategie in corsa. Poi ho ripensato all'incidente del 2016 e all'infortunio alla Coppi-Bartali che per poco questo Giro me lo faceva saltare.
Non hai pensato anche all'uomo ti tirò quel pugno mesi fa?
«Quello ormai l'ho quasi dimenticato. Solo nei giorni dopo ci ho ripensato: si sarà sentito male rendendosi conto di aver fatto ciò a un professionista!»
E in generale, ci racconti com'è stato questo Giro d'Italia 2021?
«Non ho ottenuto tanti piazzamenti come l'anno scorso ma mi sono focalizzato sul vincere una tappa: non essere per forza competitivi tutti i giorni, ma concentrare le energie in alcune tappe per provare a vincerne una. E ho portato a casa l'obiettivo! Forse da me ci si aspettava più piazzamenti, ma quelli poi chi se li ricorda? Per un corridore in fin dei conti è più importante una vittoria che dieci piazzamenti.»
Ampliando lo sguardo alla squadra, in questo Giro l'Ag2r Citroen ha avuto soprattutto due alfieri: te e il già citato Bouchard. Che ne pensi del vostro lavoro come team in queste tre settimane?
«Vero, abbiamo fatto un lavoro "particolare": si sono visti il mio nome e quello di Bouchard, tanto altro non l'abbiamo visto se dobbiamo dirla schiettamente. Nella tappa che io ho vinto, abbiamo anche portato a casa tanti punti per la classifica scalatori: il 90% della maglia azzurra di Bouchard è stato messo in tasca quel giorno. Gli avversari ormai avevano un sacco di punti di distacco, ormai tutti hanno visto sfumare la possibilità di toglierla. Io e Geoffrey abbiamo trascorso questo Giro insieme per gran parte del tempo: eravamo compagni di stanza e parlavamo tanto dei nostri obiettivi. Lui aveva la gamba e la testa, e anche col mio supporto motivazionale ce l'ha fatta.»
Quali erano i vostri obiettivi per il Giro 2021?
«Quello principale era la vittoria di tappa, e l'abbiamo ottenuta. Poi abbiamo pure conquistato la maglia azzurra dei GPM, penso proprio che i direttori siano contenti di questa trasferta! Oltretutto, vincere con un corridore italiano al Giro d'Italia è ancora più soddisfacente.»
Cosa pensi della riduzione della tappa di Cortina, che ha suscitato tante polemiche, e del tema sicurezza?
«Già la settimana prima abbiamo iniziato a chiedere informazioni al presidente dell'associazione corridori Cristian Salvato, io addirittura dato che lo conosco (è delle mie zone) gli avevo già buttato lì una battutina sulla presenza della neve nei passi Fedaia, Pordoi e Giau. Nelle giornate precedenti alla tappa ne abbiamo discusso nei vari gruppi che creiamo nelle corse, dove c'è anche Gianni Bugno. RCS Sport era già informata ed erano già pronti i tragitti alternativi. Hanno voluto comunque aspettare la mattina della tappa per mandare qualcuno a controllare di persona le condizioni meteo e delle strade sui tre Passi. Dopodiché è uscito il comunicato, in accordo col sindacato di noi corridori: si vede che non c'erano le condizioni per correre. Personalmente so per certo che in mattinata sul Fedaia aveva nevicato. Ora, il problema non è la salita: ricordo la vittoria di Nibali sulle Tre Cime di Lavaredo nel 2013 sotto la neve. Il problema però è la discesa, che in condizioni di neve, o anche di pioggia con 2 gradi di temperatura, diventa molto pericolosa ed è giusto evitarla per salvaguardare il nostro fisico. Su Internet giravano le immagini di Coppi e Bartali che passavano con la neve a piedi sui Passi. Io penso che giustamente il ciclismo avanzi con la tecnologia e stia al passo coi tempi. Anzi, per la sicurezza sia più utile ridurre una tappa in quelle condizioni, anziché mettere delle regole assurde come il divieto della posizione aerodinamica, tanto abbiamo visto che si cade lo stesso, o la regola delle borracce, che costringe a mille viaggi all'ammiraglia, e col fatto della Green Zone finisce che chi sta in fondo al gruppo si trova a fare lo slalom tra borracce, cartine etc etc. Mi viene in mente anche la tappa in cui Landa si è dovuto ritirare: lungomare, rotonde, spartitraffico, possono essere segnalati quanto vuoi ma al giorno d'oggi i corridori vanno a tutta per dare spettacolo e può succedere quel che è successo. Anche perché una volta le squadre mettevano tutti gli uomini al servizio del velocista, e alla fine la volata se la giocavano in 20-30 corridori, con scalatori e uomini classifica tutti dietro. Oggi invece fanno tutti i treni e alla fine ti ritrovi in volatone piene di corridori. Solo che le strade son sempre quelle, mica sono quelle larghissime di Dubai... e se in quel contesto ti trovi rotonde, spartitraffico e quant'altro diventa pericoloso.»
Ultimamente al Giro si vedono sempre più fughe vincenti: ormai la maggior parte delle tappe vedono i trionfi di fuggitivi. Qual è il motivo secondo te?
«Il ciclismo è un po' cambiato. Oggi nelle tappe vedi due corse: quella per la vittoria di tappa e quella per la classifica generale. I capitani pensano a darsi battaglia tra di loro per la classifica, poi se si va anche a riprendere la fuga bene sennò pazienza. La loro vittoria è la generale. I cacciatori di tappe come me invece puntano a staccarsi e prendere minuti nei primi giorni per poi essere liberi di approfittare. Al Giro 2018, il primo a cui ho partecipato, è tanto se la fuga è arrivata in fondo un giorno. Ma fu un'eccezione perché c'era Simon Yates che volava e la squadra tirava per controllare la fuga e permettergli di giocarsi pure la tappa. Il ciclismo è cambiato.»
E tu pensi di avere nelle tue corde il poter diventare un corridore da classifica generale?
«No, il mio fisico è da corse di un giorno molto lunghe e con buono spunto nel finale. Per cambiare caratteristiche dovrei cambiare regime di allenamento e stile di vita. Magari se vai in un team tipo la Ineos sei più portato a evolverti drasticamente, ma al momento non è in previsione. E poi piaccio così: il mio procuratore a volte mi chiede come deve vendermi, se come passista, scalatore, velocista o cosa... io gli dico "Vendimi come vuoi!" (ride, ndr)».
Tu hai corso nel 2017 in Androni insieme al vincitore del Giro Egan Bernal: cosa ci puoi dire di lui avendolo vissuto da giovanissimo compagno di squadra?
«Prima di arrivare in squadra avevo parlato con Franco Pellizotti, mio compagno di allenamento, come un papà per me: gli chiedevo di questo Bernal e lui mi diceva "eh va forte, ha vinto il Sibiu, pedala bene..." poi l'ho visto andar forte in gara e si vedeva che era di altra categoria. Tanto che l'anno dopo l'ha preso il Team Sky. Come persona è molto umile e alla mano, se avevi bisogno era il primo ad aiutarti. Non era il campioncino che si gasa perché vince e che si monta la testa.»
Che accoglienza hai ricevuto al ritorno a casa?
«Ho festeggiato una sera a Milano e sono tornato nella mia Santa Lucia di Piave. Ho trovato striscioni e gente che mi ferma per farmi i complimenti. Io comunque sto tranquillo, mi riposo ed evito troppi brindisi: mi preparo per le prossime gare e più avanti mi concederò di più ai fan.»
Come proseguirà ora la tua stagione?
«In questo mese di giugno farò la Route d'Occitanie e i Campionati Italiani, poi avrò un breve stacco dalle corse e successivamente andrò in ritiro in altura per preparare la seconda parte di stagione».
In carriera hai partecipato a 4 Giri d'Italia. Ti piacerebbe metterti alla prova - anzi, metterti in Joker - a Tour de France e Vuelta a Espana?
«Ecco, per quest'anno c'è l'ipotesi di fare la Vuelta: per la prima volta potrei fare due grandi giri in una stagione. Sto valutando insieme al mio preparatore e ai tecnici dell'AG2R. L'anno prossimo voglio provare il Tour, la corsa più emozionante di tutte: vincere una tappa lì sarebbe l'apoteosi!»
Tour a parte, qual è la corsa che sogni di più?
«Tra quelle che ho già corso: la Milano-Sanremo. L'anno scorso ero in condizioni migliori e arrivai 11°, quest'anno ho sbagliato un po'.
Tra quelle che non ho mai corso ancora: l'Amstel Gold Race. Non so come potrei gestire una corsa del genere, ma ora che ho vinto la tappa al Giro d'Italia mi sento molto più libero di osare.»