Sono piccolissimi e pelosissimi. Cambiano colore quando si muovono: bianchi su un muro bianco, verdi e marroni su un albero. Sono i Ridarelli. Forse fratelli. Hanno una missione: proteggere i bambini. E li seguono dovunque: quando vanno a scuola, nei parchi, nei negozi. Perché? Per essere sicuri che i bambini siano trattati come si deve. Altrimenti si vendicano. Alla loro maniera. Speciale. Mettere una cacca sotto la scarpa di chi si comporta male con i bambini. Una, due, tre volte, finché capisce e smette.
“Il trattamento Ridarelli” (Salani, la prima edizione nel 2001: l’ho scovato in un book-crossing) è un libro per bambini, cioè per tutti, scritto dall’irlandese Roddy Doyle con la collaborazione dei suoi due figli: una pagina alla volta, inserendo ed eliminando, riscrivendo e correggendo in base alle loro osservazioni, fino a diventare un classico. Stavolta l’obiettivo della vendetta dei Ridarelli è il signor Mack, assaggiatore di biscotti. Ma scagionato dalla sua colpa, riuscirà a evitare di pestare quello che ormai sapete?
Nella storia di Doyle e figli c’è anche una bicicletta: i Ridarelli sono sulla canna di una vecchia bicicletta arrugginita, appoggiata al muro da più di venti anni. “Era talmente vecchia, quella bicicletta, che oramai faceva quasi parte del muro”. Ed è lì, sulla bicicletta, che i Ridarelli stanno a guardare il signor Mack che si avvicina alla cacca, contando i suoi passi, e poi i centimetri che separano la suola da quello che ormai sapete.
Morale: c’è sempre una bicicletta. Arrugginita o lustrata, appoggiata o appesa, da passeggio o da corsa, ereditata o sognata, cigolante o silenziosa. C’è sempre una bicicletta che ci accompagna, che ci guida, che ci richiama, che ci ascolta, che ci pedala. C’è sempre una bicicletta con la canna su cui salire e poi guardare dall’altra parte del muro. C’è sempre una bicicletta che ci aiuta a non calpestare quello che ormai sapete.