Tatiana Guderzo è salita in bicicletta anche quest’anno perché aveva un obiettivo da conquistare a tutti i costi: la sua quinta Olimpiade. La campionessa marosticense è fra i pochissimi atleti italiani in attività che possono vantare la partecipazione a quattro edizioni dei Giochi (Atene, Pechino, Londra, Rio). Fare cinque sarebbe stato un colpaccio, il modo migliore per dire addio alla bici dopo 30 anni di gare. Poi arriva la pandemia che congela tutto, anche lo sport, e allontana di un anno la rassegna di Tokyo.
Guadagnarsi un posto in nazionale a 36 non sarebbe stato facile, a 37 ancora più difficile.
“Il rinvio all’agosto 2021 per me è stata una vera mazzata – confessa la Guderzo, bronzo a Pechino e campionessa mondiale nel 2009 -. Vista la situazione che si è creata con il coronavirus è stata certamente la scelta più sensata, anche perché molti atleti sarebbero giunti all’appuntamento penalizzati rispetto ad altri. Per me e per la mia carriera, però, non è stata una bella notizia. Ho corso fino al 2020 perché volevo partecipare alla mia quinta Olimpiade, ora diventa tutto più complicato. In questo periodo sto riflettendo profondamente sul da farsi, sono molto combattuta. Da un lato c’è la voglia di tenere duro, dall’altra l’età che si fa sentire, e comunque avevo deciso che questo sarebbe stato il mio ultimo anno in sella”.
Aveva già altri progetti per il 2021?
“Niente di definito, anche se l’idea è di rimanere nell’ambiente. L’unica cosa certa è che dopo le Olimpiadi avrei potuto ritenere conclusa la mia carriera di ciclista”.
Gli sponsor che cosa dicono?
“Le Fiamme Azzurre mi danno carta bianca, anche la mia squadra di club, la Alé BTC Ljubljana, sarebbe d’accordo nel proseguire un altro anno. Dipende da me. Ora come ora i dubbi sono molti”.
Com’è andata la prima parte della stagione?
“Direi male, visto che il primo febbraio alla Cadel Evans, in Australia, sono caduta e una ferita ad un ginocchio ha fatto infezione. Sono rimasta ferma due settimane, ho ripreso ad allenarmi nonostante il forte dolore in vista del rientro, che era fissato per il 22 marzo a Cittiglio. Ora sono a casa, ad allenarmi con il ciclomulino e a fare esercizi”.
Come ha preso il divieto di allenarsi su strada?
“Probabilmente sarei autorizzata a farlo, ma dopo alcune uscite ho rinunciato. Mi sentivo in colpa nei confronti di tutte le persone che vorrebbero uscire, magari per andare a lavorare, e non possono. E poi allenarsi mentre la gente ti insulta non è affatto piacevole.
Come trascorre le sue giornate?
“Per chi è abituato a viaggiare in continuazione rimanere sempre a casa è stranissimo, surreale. Cerco di godermi le cose positive, la famiglia innanzitutto. Alcuni giorni sono tranquilla, altri più irritabile, un po’ come tutti. Mi sono messa a tirare fuori cose dall’armadio, credo che butterò via una montagna di roba”.
Si parla di allungare la stagione agonistica nei mesi freddi: che ne pensa?
“E’ l’unica soluzione per recuperare certe competizioni, ma correre le classiche del Nord a ottobre o novembre non credo proprio sia il caso…”.
Come uscirà il ciclismo da questa situazione?
“Il nostro è uno sport fatto di sacrificio, sa rinascere dalle difficoltà. Quest’anno e anche l’anno prossimo sarà dura far quadrare i conti, per questo bisogna fare gruppo: atleti, team, organizzatori, federazioni. Se ognuno guarda il suo orticello non torneremo grandi in fretta. Ma io sono ottimista, ne usciremo e saremo più forti di prima”.
da Il Giornale di Vicenza a firma di Eros Maccioni