Samuele Manfredi si sta allenando con un obiettivo chiaro: tornare a correre. Il giovane atleta, classe 2000, sta affrontando la lunga riabilitazione dopo l’incidente occorsogli il 10 dicembre 2018. Da febbraio l’Ospedale di Ferrara, specializzato proprio nel settore della riabilitazione motoria, è diventato la sua casa. Al suo fianco c’è sempre mamma Giovanna, mentre papà Paolo fa la spola fra la Liguria, dove la famiglia risiede, e la Romagna.
«Ci vorrà il tempo che ci vorrà ma nessuno mi ferma» racconta Samuele a Francesco Ceniti sulla Gazzetta dello Sport: «Dell’incidente non ricordo nulla, so quello che mi hanno raccontato, ma è inutile piangersi addosso. Dico solo che accade troppo spesso che in Italia un ciclista muoia o rischi la vita. Chi pedala è il più fragile, va protetto».
E ancora: «Prima del mondiale il ct Rino De Candido è venuto a trovarmi e mi ha portato una maglia azzurra. Posso metterla? Lo faccio subito. Un giorno la indosserò mentre sono di nuovo in bici. Fino a qualche mese fa non avevo forza nella braccia: ora fanno il loro lavoro. È stata una lenta risalita, anche se mi resta l’ostacolo maggiore: le gambe. E a proposito di mondiale, la dedica di Tiberi mi ha commosso: mi ha telefono, è stato bellissimo e mi sono sentito parte del gruppo».
Il 2 settembre scorso, Samuele ha affrontato l’ultimo intervento chirurgico: gli è stato impiantato un piccolo apparecchio che rilascia una sostanza in grado di aiutare il cervello a dare gli impulsi giusti. «Dopo l’operazione ci sono stati dei netti miglioramenti, faccio due sedute di lavoro al giorno, anche 5-6 ore in totale, ma potrei arrivare a 10. I medici mi guardano stupito “Non sei stanco?”, dicono. No, chi ha fatto ciclismo conosce bene la fatica. E poi devo rientrare in gruppo, non posso aspettare».